Crimi e le sgridate di Beppe La crisi del capogruppo

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ROMA — L’uomo che avanza con passo incerto, ciondolante, il capo chino, la pinguedine trattenuta dalla giacca abbottonata, è Vito Crimi.
Secondo piano di Palazzo Carpegna, corridoio (ieri pomeriggio).
Con una mano si sfila gli occhiali, Crimi, e con l’altra s’accarezza il viso, tira su con il naso, la mano asciuga occhi liquidi, tristi.
Commesso solerte, seduto alla scrivania: «Senatore, ha bisogno di qualcosa?».
Crimi si volta, scuote la testa: «No… no… va tutto bene… tutto benissimo».
Non è vero. Crimi è esausto. Questa sua breve avventura da capogruppo del Movimento Cinque Stelle al Senato si è rivelata complicata, confusa, snervante. E anche, sia detto con il rispetto dovuto a un senatore della Repubblica, umiliante.
Del resto, nel volgere di appena due settimane, Crimi è stato costretto a chiedere scusa prima al capo dello Stato («Non volevo offendere Napolitano quando ho detto di averlo trovato piuttosto sveglio») poi a tutti i giornalisti italiani («Ho detto che mi state sul cazzo, ma non è vero, tra voi ci sono tanti professionisti seri»), quindi ha dovuto implorare perdono alla sua collega Roberta Lombardi, capogruppo alla Camera (in conferenza stampa, al Quirinale, osò chiamarla «onorevole» invece che «cittadina»); infine, come se non bastasse, sono arrivate le parole durissime del capo.
Sapete quanto può essere feroce con le parole Beppe Grillo. Ma poche ore fa, con Crimi, sembra si sia superato. Telefonata di rimprovero definitivo. Con ordini ben urlati: non parlare più a vanvera, non prendere iniziative, concorda con me e Casaleggio ogni dichiarazione politica e, soprattutto, non pensare minimamente alle dimissioni, perché le tue dimissioni sono una roba che non possiamo permetterci.
Crimi però ha pensato e ancora pensa di fare davvero un passo indietro: è una persona sensibile, i lucciconi di poco fa ne sono una piccola prova, e sa, lui per primo, che nei suoi errori c’è sempre e solo un miscuglio di ingenuità  ed entusiasmo. Il fatto di essere il capogruppo del M5S a Palazzo Madama è come se lo costringesse ad essere il più grillino dei grillini. Così, a volte, esagera, va giù di pancia, ci mette istinto e pochissima lucidità  politica. Come l’altro giorno: quando su Facebook ha scritto che un governo guidato da Bersani sarebbe comunque stato meglio di questo governo Monti. A una prima lettura, il ragionamento filava. A una seconda, appena più sofisticata, era il classico ragionamento che seguiva la logica del meno peggio, dell’accordo fatto turandosi il naso.
La precisazione di Grillo — «Bersani è uguale a Monti, anzi è peggio» — seguita a ruota, è stata l’ennesima smentita. Crimi, ormai, o viene smentito, o smentisce.
Su Twitter hanno creato un hashtag: «#Romanzocrimi Vito, detto lo smentito». Maurizio Crozza lo imita, e fa molto ridere. Ma da alcuni giorni anche Fiorello, nella sua edicola web, lavora il personaggio con perfidia e sarcasmo. I fotografi, nella loro tribunetta sull’emiciclo, non lo mollano un istante: e così, l’altro giorno, durante una seduta, gli hanno puntato addosso i teleobiettivi. Lui, Crimi, dormiva beato, e a bocca spalancata.
Vito Crimi è nato a Palermo 40 anni fa, secondogenito di due genitori impiegati all’Upim, e nel numero di Panorama in edicola oggi c’è il racconto della sua vita. La vita banale di un uomo diventato improvvisamente famoso. Crimi boy-scout nella parrocchia carmelitana San Sergio I, Crimi al liceo scientifico, Crimi che si iscrive alla facoltà  di Matematica lasciata poi per amore, per sposarsi con una ragazza bolognese, Maria Cristina (pacchianissimo matrimonio in tight e Rolls Royce, ricevimento in un lussuoso resort, lui che pesa almeno venti chili in meno). Trasferimento a Brescia, dopo aver vinto il concorso nella locale Corte d’Appello. Scoperta di Beppe Grillo. Carriera nel Movimento. Elezioni politiche. Arrivo a Roma.
Era meno di un mese fa. I grillini si radunavano in un albergo dietro la stazione Termini. Lui si presentò dicendo: «Io… io, tra l’altro, ho una buona conoscenza dell’inglese scritto, meno di quello parlato».


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