Il Pil Usa accelera senza brillare balzo del 2,5%, meno del previsto

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NEW YORK â€” Beata la nazione che si lamenta perché cresce “solo” del 2,5%. Vista dall’Europa, l’America di Barack Obama è una Terra promessa. Qui invece il dato sul Pil nel primo trimestre è stato accolto con delusione o preoccupazione. Le attese dei mercati erano superiori, puntavano su una crescita del 3% da gennaio a marzo. Il timore, proiettato verso il futuro, deriva dal fatto che i primi tre mesi dell’anno non soffrivano per gli effetti del “sequester”, i tagli automatici alla spesa pubblica generati dall’impasse tra Obama e la Camera in mano alla destra. Gli effetti di quei tagli potrebbero “mordere” sulla crescita nel resto del 2013.
Finora, una delle ragioni per cui l’America si è risollevata dalla crisi è che Obama ha evitato la trappola dell’austerity europea. Ma lo scontro politico sull’austerity è in corso anche qui, nella battaglia irrisolta tra la Casa Bianca e il ramo del Congresso dove i repubblicani sono maggioranza. A piegare l’intransigenza dei repubblicani, che vogliono far dimagrire notevolmente il Welfare State (sanità  e pensioni), non bastano le notizie in arrivo dall’Europa: sui danni dell’austerity drammatici, e sul ripensamento che sta iniziando in alcune delle vittime come la Spagna.
La salute dell’economia
Usa resta invidiabile. La crescita del 2,5% segnala un rimbalzo, dopo il pesante rallentamento dell’ultimo trimestre 2012 quando il Pil aumentò appena dello 0,4%. Dalla metà  del 2009 — fine ufficiale della recessione — la velocità  di crociera dell’America è stata del 2,1% annuo. E’ una ripresa vera, pur se meno vigorosa di quelle che furono le fasi post-recessive del passato. Dalla seconda guerra mondiale, in seguito ad ogni recessione la velocità  media delle riprese era del 3,2%. Quella in corso viene vista come una ripresa anomala, una sindrome da convalescente. Sul versante sociale, restano tuttora 3 milioni di posti di lavoro da recuperare, solo per tornare ai livelli del 2007.
Tra le buone notizie: i consumi
sono una delle componenti più dinamiche. Insieme con gli acquisti di case. La vitalità  del consumatore americano — che tuttavia sta approfittando di questa ripresa anche per ridurre il suo indebitamento — rende positivamente scettici alcuni economisti. Bernard Baumohl dell’Economic Outlook Group, ha calcolato che gli attuali livelli di spese
per consumi delle famiglie sono compatibili con una disoccupazione del 5%, non del 7,7% come quella ufficiale. Una possibile spiegazione: forse si sta allargando l’economia sommersa, in tal caso c’è più lavoro e più reddito di quanto appaia.
Il ruolo della spesa pubblica ha cambiato segno. Nel 2009 e nel 2010 Obama riuscì a imporre una poderosa manovra di investimenti statali in funzione anti-recessiva. Fu decisiva quella iniezione di spesa pubblica — con un rapporto deficit/ Pil che salì fino al 10% — per fare la differenza tra l’America e l’Europa. Adesso però i repubblicani hanno boicottato ogni accordo sulla legge di bilancio. Nella paralisi è scattato il “sequester”, con tagli indiscriminati su molte voci di spesa. Già  nel primo trimestre la spesa pubblica era scesa dell’8,4%. Ora una speranza viene affidata alle finanze locali. Gli Stati Usa stanno incassando più gettito fiscale grazie alla ripresa del mercato immobiliare, potrebbero allentare i cordoni della borsa dopo anni di ristrettezze. Il
Wall Street Journal, pur vicino al partito repubblicano, dà  un grande rilievo alla svolta anti- austerity in corso in Spagna. “Dopo aver perso colpi, voltafaccia della Spagna sui tagli”: con questo titolo in prima pagina il giornale racconta al pubblico degli investitori il ripensamento in corso a Madrid. Ad opera di un governo conservatore, quello di Mariano Rajoy. Per il
Wall Street Journal il premier di destra si è convinto che «è l’ora di cambiare medicina, per una delle più malate economie d’Europa». Dopo che il tasso di disoccupazione spagnolo ha raggiunto il 27,2%, cioè un livello da Depressione, e la Banca di Spagna prevede un’ulteriore recessione col Pil in declino dell’1,5%, Rajoy si è deciso a fare una correzione di rotta. Meno tagli alle spese pubbliche. Più riforme strutturali per migliorare la competitività  dell’economia spagnola. Non si tratta di una fuga in avanti: ieri è arrivato il via libera di Bruxelles al piano spagnolo, giudicato «compatibile», e due anni di proroga per il risanamento dei conti pubblici.


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