I Servizi segreti avvisarono Palazzo Chigi “I capitali dei Riva viaggiano verso l’estero”

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Vertice d’emergenza dell’esecutivo il patriarca Emilio: reagirò al sequestro
COME in un pozzo di cui non si vede il fondo, nell’affaire Ilva le accuse si moltiplicano. L’ultima – come si legge nell’avviso più recente notificato al patron Emilio e ai suoi familiari – è quella di aver “comprato” il consenso di «politici, mass media, organizzazioni sindacali, settore scientifico e clero». Ma la saga giudiziaria non durerà  all’infinito. La Procura ha deciso di mettere un punto: l’inchiesta è virtualmente chiusa perché di qui alla fine di giugno la Procura notificherà  ai più di quaranta indagati l’avviso di conclusione e li manderà  a giudizio. Davanti alla Corte d’Assise di Taranto comincerà  così il più grande processo della storia per un disastro ambientale: una città , una regione avvelenata da una famiglia che ha scritto la storia dell’acciaio in Italia, e dai suoi quadri.
I COMPLICI
L’Ilva – sostengono il procuratore capo Franco Sebastio, l’aggiunto Pietro Argentino e i sostituti Mariano Buccoliero e Giovanna Cannarile – ha dato in questi anni «malattia e morte ai cittadini che abitano quartieri vicino al siderurgico». Ma non lo ha fatto da sola. Ma eludendo i controlli e avvicinando controllori di vari livelli. Così per la prima volta finiscono sul banco di accusa i sindacati. «Distratti» aveva attaccato il Procuratore generale di Lecce, Vignola, soltanto alcuni giorni fa. «L’azienda – si legge nel campo di imputazione – cercava di individuare le problematiche che non avrebbero consentito l’emissione di provvedimenti autorizzativi nei confronti dello stabilimento Ilva, concordando così le possibili soluzioni e individuando i soggetti di vari livelli (politicoistituzionale, mass media, organizzazioni sindacali, settore scientifico, clero) da contattare, provvedendo anche a concordare in anticipo il contenuto di documenti ufficiali che dovevano essere emanati ed indirizzati allo stesso stabilimento Ilva». L’Ilva quindi inquinava, si arricchiva. Mentre –
accusa la Procura – gran parte della città  (i giornali, la chiesa e appunto i sindacati) girava consapevolmente la testa dall’altra parte.
I SERVIZI
L’offensiva dei giudici tarantini faceva invece molta paura al gruppo Riva. Tanto che – ha scritto il gip di Milano nel provvedimento con il quale ha sequestrato al gruppo un miliardo e 200 milioni per evasione fiscale – nel marzo di quest’anno «hanno provato a modificare la giurisdizione dei trust» cercando di mettere al sicuro il bottino. I soldi del gruppo sono quasi tutti all’estero, hanno dimostrato le indagini. Confermando una nota riservata con cui il Dis (il Dipartimento di informazioni per la sicurezza)
aveva comunicato a Palazzo Chigi che la famiglia Riva aveva accumulato disponibilità  fuori dai confini. Notizia che l’inchiesta ha poi confermato nella sostanza e con numeri macroscopici rispetto a quelli inizialmente intercettati dai Servizi (la cifra di cui la nostra intelligence aveva avuto notizia era decisamente più bassa).
Oggi verranno aperte alcune cassette di sicurezza. Dopodiché, come prevede il decreto, si potrà  andare anche sul capitale non strettamente riconducibile alla Riva Fire, la cassaforte del gruppo. Le Fiamme gialle stanno valutando, tra le altre cose, se sequestrare anche le azioni di Alitalia. Nel portafoglio delle partecipazioni c’è anche il controllo del 49 per cento di una società  tramite la quale la famiglia Riva ha in mano il 10,6% della compagnia aerea. Primi azionisti privati italiani. Acquistato nel novembre del 2008 per 120 milioni, il valore di carico delle azioni in bilancio al momento si aggira attorno ai 70. E i finanzieri segnalano un’altra strana operazione legata ad Alitalia. Alcuni mesi fa, mentre i commercialisti del gruppo cercavano di mettere al sicuro i trust dalla Procura di Taranto, una delle società  off shore, la Orion Trust, «sottoscriveva un prestito obbligazionario emesso da Alitalia per il valore di 16 milioni ». Un’operazione anche questa in cui la famiglia, come per l’acquisto dell’Ilva, tratteneva i profitti e scaricava il rischio.
L’AIA DISATTESA
Il 10 aprile scorso il Garante dell’attuazione dell’Aia nominato dal governo Monti, Vitaliano Esposito, si accorge che le cose non stanno andando come previsto. E così invia una diffida a Bondi e Ferrante. Serve una «rete di idranti per bagnare i parchi minerali»: quando c’è vento, come ieri, le polveri si continuano a spandere sul quartiere Tamburi. «E’ necessario rimodulare gli interventi di depolverazione sull’altoforno» e rimettere mano, come promesso, a tutte le emissioni che riguardano le cokerie.
Inoltre i nastri trasportatori non sono stati coperti, come si erano impegnati a fare. E per la prima volta, dice l’Arpa, si registrano valori di inquinamento sempre più alti anche in mare.


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