L’austerità  senza futuro che nasce dalle distanze tra Parigi e Berlino

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Mai la loro amicizia è stata di così bassa qualità : in una scala da zero a dieci, siamo sotto al due, secondo un’analista tedesca di relazioni internazionali, Ronja Kempin. Differenze sull’asse Berlino-Parigi, attorno al quale si è costituita l’Unione europea, ci sono state spesso: la novità , oggi, è che la divergenza non è più solo politica ma soprattutto strutturale. La crisi ormai quasi quinquennale ha spinto in direzioni opposte le due economie: le politiche che servono ai tedeschi, dunque, non sono quelle che servono ai francesi, e viceversa. Non succedeva da almeno trent’anni: il risultato è che il motore della Ue è bloccato, non solo e non tanto per volontà  della coppia che sta alla guida ma per le realtà  che si allontanano.
Praticamente qualsiasi indicatore racconta il decoupling, la separazione, delle due economie. Tra il 2008 e il 2012, il Prodotto interno lordo (Pil) francese reale non è praticamente salito, anche l’anno scorso l’economia è rimasta stagnante: nello stesso quinquennio, quello tedesco è cresciuto del 4%. Ancora più netta, e drammatica dal punto di vista sociale e politico, è stata la divergenza della disoccupazione, che all’inizio del 2008 era per ambedue i Paesi sotto l’8%: in Germania è scesa al 5,4%, in Francia è salita all’11 (marzo). Nello scorso decennio, le esportazioni tedesche sono aumentate a un ritmo triplo di quelle francesi, in gran parte a causa del differenziale di crescita del costo del lavoro.
In passato, Parigi ha quasi sempre avuto deficit di bilancio superiori a quelli tedeschi, ma di poco: nel 2012, però, il fabbisogno francese è stato del 4,8% del Pil, mentre la Germania ha registrato un surplus dello 0,2%. In più, Hollande ha deciso di non scendere sotto il 3% quest’anno ma solo il prossimo. Il debito pubblico di Berlino durante la crisi è salito ma ora danza attorno all’80% del Pil con tendenza a calare: quello francese è salito dal 79,2% del 2009 al 90,2% dell’anno scorso e la tendenza è a crescere. Lo Stato tedesco spende il 45% del Pil, quello francese il 56,6. Siamo insomma di fronte a due Paesi che per gran parte del dopoguerra hanno avanzato insieme nell’economia ma ora si trovano a divergere in modo radicale, quasi che la crisi avesse esaltato la Germania e annichilito la Francia. In queste condizioni, è superficiale parlare solo delle differenze politiche tra la cancelliera Merkel, di centrodestra, e il presidente Hollande, socialista: i disaccordi politici hanno soprattutto radici nelle divergenze strutturali tra i due Paesi.
In discussione non è solo il dibattito un po’ fuorviante austerità  sì, come vuole Berlino, austerità  no, come vuole Parigi. Questa disputa conta soprattutto a fini polemici: il documento del partito socialista francese rivelato dal quotidiano Le Monde che ha incendiato il confronto tra le due capitali parlava di «intransigenza egoista» di Frau Merkel e accusava la «cancelliera dell’austerità » di pensare solo alla sua campagna elettorale; dalle file del governo di Hollande sono partiti inviti a «iniziare un combattimento» contro l’austerità  tedesca. In realtà , il vero problema è che in questa divergenza strutturale la prospettiva di politiche europee comuni svanisce: in Germania il timore, in qualche caso la convinzione, che la Francia stia «scivolando verso Sud» e stia perdendo terreno sui mercati internazionali solleva dubbi sul futuro delle politiche europee, prima di tutto sulla prospettiva della messa in comune, un giorno, del debito (emissione di Eurobond) in un’Eurozona instabile. Gli imprenditori tedeschi, non solo i politici, sono da qualche tempo i primi a sollevare la questione della divergenza sull’asse Berlino-Parigi.
Senza il motore franco-tedesco funzionante, le sfide che la zona euro si è posta — a cominciare dall’Unione bancaria — saranno più difficili da raccogliere. A maggior ragione, una Ue inconcludente non aiuterà  e frenare le tendenze separatiste della Gran Bretagna. Con una disoccupazione prevista in crescita anche quest’anno e probabilmente il prossimo, all’Europa serve leadership: rischia immobilismo e confusione nel suo asse portante.


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