Scontro Letta-Alfano Poi la mediazione: niente ministri ai comizi

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SARTEANO (Siena) — Per fare spogliatoio, aveva detto Letta, nel motivare la ragione del ritiro. E invece, prima ancora di entrare nell’abbazia, lui e tre ministri, se le sono date di santa ragione. Politicamente, s’intende. Ma a tal punto da costringere il capo del governo, nella sostanza, a minacciare le dimissioni.
Letta, Franceschini, Lupi e Alfano, ovvero Pd e Pdl, l’ossatura politica dell’esecutivo, premier e vicepremier il primo e l’ultimo: in teoria dovevano fare un sereno viaggio in pullman con gli altri colleghi, verso un ritiro programmatico. Hanno invece preferito isolarsi in un secondo pullman, tenere un vertice nel tragitto che va da Roma sino a Sarteano, vertice che non è stato propriamente pacato.
Motivo del contendere, la recente manifestazione di Brescia organizzata dal partito di Berlusconi, cui ha partecipato anche Alfano. Letta ci ha riflettuto a lungo, la presenza di ministri in piazza non può essere un precedente, può mettere a repentaglio l’azione di governo. «È inaccettabile e non si può più ripetere perché le ricadute negative sul governo sono superiori alla capacità  di tenuta dell’esecutivo», saranno le sue parole in serata, restituite dal portavoce. E già  nel pomeriggio lo comunica ai due esponenti del Pdl non appena mettono piede nel pullman, poco dopo la partenza da Palazzo Chigi.
Ne nasce uno scontro molto acceso, confermato da entrambe le parti: le veline dei partiti lo chiamano confronto «molto franco». Sfumature di entrambe le sponde fanno intendere che Letta comunica di più di quanto viene alla fine deciso: per il capo del governo ministri ed esponenti del governo d’ora innanzi non devono più andare in piazza, o in tv, a meno che l’evento non appartenenza alla loro sfera di lavoro istituzionale.
Alfano e Lupi non ci stanno: la linea del Pdl resta quella che è sempre stata, ci sono due piani politici, uno di governo e l’altro quello di un partito che difenderà  sempre e comunque Berlusconi dal presunto attacco dei magistrati come da qualsiasi altra cosa.
Lo scontro è così acceso, a un certo punto, che Letta è costretto ad alzare il registro, sino ad avvertire che non si farà  logorare ed è sempre pronto alle dimissioni, se il profilo elettorale dovesse prevalere sugli interessi del Paese. Insomma «il governo non proseguirà  a tutti i costi», riassumerà  ancora il portavoce.
I due, premier e suo vice, sono privi di accordo ancora pochi chilometri prima di arrivare. La decisione va comunicata insieme agli altri membri del governo: anche questo chiede Letta. Alfano e Lupi però non cedono sul principio, sostengono che non hanno intenzione di prendere le distanze da Berlusconi, se si riproporranno altre occasioni di protesta di piazza.
Alla fine arriva il compromesso. Alfano concede qualcosa, ma solo sino alla fine del periodo elettorale, cioè sino alla data delle prossime elezioni amministrative. Eppure passa il principio e Letta può dirsi soddisfatto, incassa un messaggio di stop a iniziative dei ministri troppo politiche. Il Pdl, con Alfano e Lupi, può a sua volta dire di non aver ceduto: la distanza dalla piazza dei ministri è una decisione a tempo limitata, legata al periodo elettorale, dunque relativa.
Quando arrivano finalmente all’abbazia, sotto una pioggia scrosciante, affiorano i primi segnali dello scontro: Letta e i suoi tre colleghi scendono dal pullman con il viso scuro, nessuno, tranne il capo del governo, abbozza un sorriso. Poco dopo, altro segnale: nel primo punto stampa si presentano i rispettivi portavoce, Letta salta l’appuntamento.
Letta ha comunicato ai ministri riuniti nell’abbazia di Spineto «quanto concordato con Alfano nel corso del viaggio, da qui alle elezioni amministrative i membri del governo non parteciperanno a manifestazioni elettorali né a dibattiti radio e tv che non siano incentrati sul programma di governo dei dicasteri».
Nel giro di pochi minuti le indiscrezioni dei due partiti, in modo ufficioso e solo in parte convergente, restituiscono un quadro più accurato. Che alla fine, a sorpresa, includerà  persino la minaccia di dimissioni del presidente del Consiglio. Nello spogliatoio si può anche litigare.
Marco Galluzzo


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