I Grandi alla crociata anti-evasione «Combatteremo i paradisi fiscali»

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LOUGH ERNE — Enrico Letta che porta al G8 l’emergenza occupazione giovanile. David Cameron impegnato, da presidente del vertice, a far approvare ai leader dell’Occidente la sua agenda sulle tasse: guerra ai «paradisi fiscali» e alle società ombra, multinazionali spinte a pagare i tributi dove producono il reddito. E Obama che, in un’intervista televisiva, annuncia, di fatto, un cambio della guardia nella gestione della politica monetaria: a gennaio Ben Bernanke lascerà la guida della Federal Reserve (sarà probabilmente sostituito dall’economista democratica Janet Yellen: sarebbe la prima donna a guidare la Banca centrale Usa).

Cosa lega tre notizie così diverse? Nonostante l’inevitabile genericità delle conclusioni di questi vertici mondiali durante i quali i leader discutono di massimi sistemi senza disporre di poteri decisionali immediati, la sensazione è che stia maturando una svolta nella gestione politica della crisi economico-finanziaria nella quale il mondo è precipitato cinque anni fa. E che questi tre fatti ne siano, in un certo senso, una spia rivelatrice.

L’anno scorso, di questi tempi, l’euro sembrava sull’orlo del collasso mentre il pendolo della discussione al G8 di Camp David era molto spostato sul lato del rigore fiscale e del controllo del deficit pubblico, con un’attenzione relativamente bassa per la necessità di sostenere la crescita economica: un compito lasciato, soprattutto negli Stati Uniti, all’iniziativa dell’autorità monetaria.

E, infatti, pochi giorni dopo, all’inizio di luglio, partì l’azione congiunta delle banche centrali euroamericane (Fed, Bce e Bank of England) per stimolare la crescita immettendo altra liquidità nel sistema ed effettuando massicci acquisti di titoli sul mercato (nel caso degli Usa) o impegnandosi a farlo qualora necessario.

Azioni che hanno dato un contributo fondamentale alla ripresa americana e alla stabilizzazione dell’euro e dei Paesi europei più vulnerabili. Quell’azione delle banche centrali continua a far sentire i suoi effetti positivi ancor oggi, ma crescono i timori che la cura da cavallo somministrata dalla Fed all’economia americana (denaro a costo zero, 85 miliardi di dollari di titoli acquistati sul mercato ogni mese) alla fine si rivelino una droga per i mercati, alimentando una pericolosa bolla.

Lo stesso Bernanke, che un mese fa aveva provato ad accennare ad una possibile correzione di rotta, oggi probabilmente assicurerà che la Federal Reserve continuerà nella sua azione di sostegno, visto il nervosismo manifestato dai mercato dopo quella sua sortita. Ma il problema di una cambio di marcia esiste. E probabilmente una fase della storia monetaria Usa si chiuderà proprio con l’uscita di scena del banchiere repubblicano che ha salvato l’America dagli effetti peggiori della recessione usando politiche espansive invise ai conservatori. La successione della progressista Yellin garantisce che non ci saranno bruschi cambiamenti d’indirizzo: l’obiettivo della politica monetaria Usa resterà quello di sostenere la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro, più che la lotta a un’inflazione della quale, peraltro, non si vedono ancora tracce.

Ma i governi si rendono conto che non possono continuare a delegare tutto all’autorità monetaria; che anche la politica deve tornare ad avere un ruolo di stimolo per l’economia perché altrimenti – come ha avvertito alla cena del G8 lo stesso Obama citando esplicitamente le sollecitazioni di Letta – la disoccupazione, soprattutto quella massiccia dei giovani, rischia di corrodere fin nelle fondamenta anche le più solide democrazie occidentali.

L’ostacolo a tutto questo – a parte la capacità della politica di effettuare investimenti nella giusta direzione e di spendere con efficienza – sta nei vincoli di bilancio che restano soffocanti, soprattutto per i Paesi più indebitati: l’Italia ma, ormai, anche Gran Bretagna, Francia e gli stessi Stati Uniti. Ma oggi, almeno, è cessata l’emergenza per l’euro, ufficialmente dichiarato fuori pericolo, proprio qui al G8 dal presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy.

Bisogna trovare nuovi spazi ma, non potendo alzare le tasse e con la Germania che si oppone (almeno fino alle elezioni) a escludere gli investimenti dal calcolo del deficit, bisogna cercare di rendere più efficiente il funzionamento della macchina fiscale. Così l’«agenda Cameron», con tutto il suo tecnicismo tributario, diventa un primo passo nella direzione di un recupero di controllo da parte dei governi su una parte della base imponibile che ha fin qui goduto di una specie di libera uscita.

Massimo Gaggi


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