Mediaset, la Consulta decide Il pessimismo del Cavaliere

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ROMA — La speranza della difesa è tutta riposta in una sentenza di «compromesso». Perché alla vigilia della decisione della Corte costituzionale che dovrà decidere sul legittimo impedimento invocato da Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, nessuno tra i suoi fedelissimi scommetterebbe su una pronuncia favorevole al Cavaliere. E anche le indiscrezioni filtrate ieri confermerebbero questa previsione. Eppure c’è chi confida sulla possibilità che nella motivazione i giudici inseriscano un «appiglio» che la difesa possa utilizzare in Cassazione per ottenere l’annullamento della condanna a quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici, inflitta l’8 maggio scorso dal tribunale di Milano per il reato di frode fiscale.
La fibrillazione delle ultime ore coinvolge la tenuta del governo, nonostante le rassicurazioni sulla «lealtà» del Pdl all’esecutivo di «larghe intese» guidato da Enrico Letta. Perché resta intatto il timore che il verdetto odierno influisca sulla situazione politica. Non a caso qualche giorno fa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ribadito la necessità di «rispettare il giudice delle leggi» e ieri in ambienti del Quirinale si ribadiva come «su questa sentenza si sono create aspettative improprie. Bisogna avere chiaro il senso dell’autentica natura e dei limiti di questa pronuncia che non può essere confusa con gli esiti dei processi penali».
La questione è nota. Il 1 marzo 2010, di fronte al tribunale di Milano che si occupa del processo sullo sfruttamento dei diritti televisivi sulle reti Mediaset, gli avvocati di Berlusconi chiedono di riconoscere il «legittimo impedimento» visto che il loro assistito, all’epoca presidente del Consiglio, era impegnato a guidare il Consiglio dei ministri. Istanza respinta perché, questa la motivazione del collegio, in realtà l’udienza era stata concordata proprio con la difesa del premier e la riunione a Palazzo Chigi poteva essere convocata in altra data, non essendoci particolari urgenze. I legali decisero così di sollevare conflitto di fronte alla Corte costituzionale. Il processo è intanto andato avanti e Berlusconi è stato condannato in primo e in secondo grado.
Le conseguenze della decisione della Consulta non sono irrilevanti rispetto al destino giudiziario di Berlusconi. Se fosse riconosciuto il legittimo impedimento si aprirebbe la strada per chiedere alla Cassazione di far ripartire il processo dal primo grado o dall’appello. E questo consentirebbe all’imputato di poter sperare nella prescrizione che arriverà tra un anno, nel luglio del 2014. Se così non fosse, l’ultimo grado di giudizio potrebbe concludersi entro quella data con il rischio di vedere confermata in via definitiva la condanna e soprattutto l’interdizione.
Il pessimismo che serpeggiava ieri sera tra i parlamentari del Pdl faceva leva sulla composizione «politica» della Corte con chi evidenziava come almeno dieci fra i giudici possano essere ritenuti vicini al centrosinistra, ma soprattutto sottolineava quanto scritto dal relatore Sabino Cassese nel gennaio 2011 quando scrisse la sentenza che bocciava la cosidetta «legge Vietti» sul legittimo impedimento. Perché si sosteneva che il pronunciamento del giudice rispetto all’impegno manifestato dall’imputato «sia di per sé lesivo delle prerogative del presidente del Consiglio o si ponga in contrasto con il principio della separazione dei poteri» e soprattutto veniva specificato come «il principio di leale collaborazione tra poteri ha carattere bidirezionale, nel senso che esso riguarda anche il presidente del Consiglio, la programmazione dei cui impegni, in quanto essi si traducano in altrettante cause di legittimo impedimento, è suscettibile a sua volta di incidere sullo svolgimento della funzione giurisdizionale». Un precedente che non potrà non pesare sulla decisione di oggi.
Fiorenza Sarzanini


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