Migranti abbandonati sulla gabbia dei tonni “Abbiamo visto morire i nostri sette amici”

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PALERMO — Raccontano che su quel gommone di otto metri li avevano fatti salire in più di cento. Per settimane sulla costa libica avevano atteso la notte buona dopo giorni di maltempo e mare grosso. Tra giovedì e venerdì i trafficanti di uomini ne hanno fatti partire almeno mille. Quasi tutti sono arrivati ma, come spesso accade, il motore di quel gommone stipato fino all’inverosimile si è fermato e l’imbarcazione ha cominciato ad andare alla deriva nel Canale di Sicilia. Quando, nel buio della notte, i migranti hanno visto le luci di quel motopesca che trainava una gabbia per tonni almeno in venti si sarebbero buttati a mare cercando di aggrapparsi a quella sorta di enorme ciambella di salvataggio. I più forti avrebbero persino provato a “scalare” le cime per issarsi sul motopesca, ma la decisa reazione dei tunisini avrebbe provocato la tragedia. Sette, forse dieci migranti sarebbero annegati nel buio della notte a 85 miglia a sud dell’isola di Malta quando la loro meta, Lampedusa, era ancora lontana. Gli altri loro compagni sono stati salvati dagli uomini della Guardia costiera e della marina militare dopo che un aereo in ricognizione li aveva avvistati. Alcuni di loro erano ancora aggrappati alla rete dei tonni abbandonata dal motopesca tunisino.
«È stato terribile — racconta un giovane probabilmente di origine eritrea mentre viene visitato al poliambulatorio di Lampedusa — io e alcuni altri miei compagni ci siamo buttati a mare sperando che quel peschereccio ci avrebbe aiutati. Ci siamo aggrappati alla rete, chiamavamo aiuto, ma loro ci gridavano di buttarci a mare, di tornare sul gommone. Qualcuno ha provato ad aggrapparsi ad un cavo che portava alla fiancata, ma i marinai ci minacciavano e poi hanno tranciato quella cima».
È tutto nel drammatico racconto dei 95 superstiti giunti a Lampedusa all’alba di ieri mattina l’ultimo naufragio nel Canale di Sicilia. Riscontri certi ancora non ce ne sono. Gli uomini della Guardia costiera, che in 48 ore, hanno salvato più di mille persone, non hanno trovato né corpi né resti di naufraghi a mare. La tragedia di ieri rievoca quella di cinque anni fa, quando a perdere la vita furono in 27. Allora i superstiti rimasero aggrappati a quella “ciambella” in mezzo al mare per 48 ore perché nessuna delle tante imbarcazioni che incrociavano nel Canale si prestò a salvarli. Ed è accaduto ancora l’anno scorso. Migranti e scafisti sanno che in quel tratto di Canale di Sicilia grossi motopesca ancorano o trascinano le loro gabbie per tonni.
Il sospetto è che, in qualche occasione, i trafficanti di uomini facciano il viaggio solo a metà e poi, arrivati in prossimità di quelle gabbie, costringano i migranti a buttarsi a mare e ad aggrapparsi lì aspettando i soccorsi. Che non sempre arrivano anche perché per armatori e comandanti soccorrere immigrati è sempre stata fonte di guai.
E ora a Lampedusa è di nuovo emergenza, questa volta aggravata dalle condizioni del centro di prima accoglienza che, dopo l’incendio di due anni fa che distrusse due padiglioni, non è mai stato interamente ristrutturato e vede la sua capienza ridotta da 800 a 300. «In questo momento ci sono già 540 persone assistite — dice il sindaco Giusi Nicolini — e la situazione è già estremamente pesante anche perché sappiamo che altri ne stanno arrivando. Chiediamo che gli smistamenti dei migranti nei centri di accoglienza sulla terraferma procedano speditamente e speriamo che Lampedusa non si trasformi di nuovo in un carcere a cielo aperto per queste persone». Una preoccupazione giustificata quello del sindaco alla luce delle condizioni di tempo stabile e all’allarme lanciato nelle scorse settimane dai servizi segreti informati dell’imminente partenza dalle coste libiche di migliaia e migliaia di persone.


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