Nuovo canale tra Atlantico e Pacifico? Made in China

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Non è una novità che da decenni i diversi Paesi dell’America centrale si stiano sfidando per accaparrarsi il progetto di un nuovo passaggio tra i due oceani, incontrando difficoltà logistiche (territori e bacini non adatti), politiche (nell’individuazione di un accordo di massimo a livello regionale), ambientali (gli alti costi di un lavoro di alta tecnologia oltre ai successivi effetti dell’inquinamento dati dalla navigazione), e ovviamente economiche. Messico e Costa Rica hanno rinunciato da anni. Il Nicaragua ha invece oggi individuato un ricco e ambizioso finanziatore, il cinese Wang Jing che ha vincolato la sua compagnia, la HK Nicaragua Canal Development Investment Co. (HKDN), all’ideazione, allo sviluppo, al finanziamento, alla costruzione e alla gestione del canale. Di fronte a tanto, Managua avrebbe dunque concesso carta bianca, sulla quale tuttavia non mancano macchie oscure.

Innanzitutto la compagnia HKDN non appare che una società di comodo, creata appena 10 mesi fa nel territorio libero cinese di Hong Kong. Un elemento su cui lo stesso presidente Ortega scherza durante la cerimonia ufficiale per la firma dell’accordo, presentando Jing quale “il fantasma in carne e ossa” in allusione alle critiche di chi si opponeva a un accordo con un impresario talmente sconosciuto da metterne in dubbio l’esistenza. E non a torto. Lo stesso Jing, tutt’altro che uno specialista nel settore, risulta però essere il proprietario di una società di telecomunicazioni, la Xinwei, che l’anno scorso ha ottenuto da Managua anche una concessione di 700 miliardi di dollari per avviare una linea di cellulari, progetto di cui non si sono ancora visti gli sviluppi.

Si interpreti o meno il ruolo di Jing quale prestanome del governo di Pechino o come “fratello” della Repubblica Popolare Cinese (secondo il frasario utilizzato da Ortega), i termini dell’accordo appaiono estremamente generosi verso la HKDN, e probabilmente rispecchiano l’impari potenza economica delle due parti dell’accordo. Si calcola che il canale dovrebbe essere scavato per circa 150 chilometri di lunghezza, attraversando territori pianeggianti e montuosi; un’impresa possibile in 11 anni, con una spesa di circa 30 miliardi di euro e con l’impiego di 40mila operai. Nonostante i termini molto vaghi del progetto che, ad esempio, ancora non chiarisce il percorso esatto del canale, è evidente la forte cessione di potere alla società cinese. In base all’accordo, Managua cederebbe ai cinesi la concessione d’uso del canale per 50 anni, rinnovabile per altri 50; inoltre, Jing potrà determinare le tariffe di navigazione nel futuro canale, le espropriazioni delle terre necessarie alla costruzione, l’uso e la deviazione dei corsi d’acqua. Una scelta che sta incontrando la decisa opposizione di una parte della società civile e dei partiti politici, alcuni dei quali intenzionati a utilizzare tale azione quale forma di rilancio “dell’unità dell’opposizione contro la dittatura di Ortega”, come ha dichiarato Vìctor Hugo Tinoco del dissidente Movimento Rinnovatore Sandinista (MRS); o come Azalea Solìs dell’Unione Cittadina per la Democrazia (UCD), intenzionato a ottenere una sollevazione popolare dinanzi a questa cessione di sovranità nazionale che mette ogni nicaraguense a rischio di esproprio dalla sua terra.

Una visione diametralmente opposta a quella del presidente Ortega che parla del progetto come strumento per “combattere la povertà e diffondere benessere, prosperità e felicità al popolo nicaraguense” in quanto il canale potrebbe raddoppiare istantaneamente il prodotto interno lordo del Paese. Difatti, una volta terminato, non prima del 2024, si stima che il nuovo canale transoceanico potrebbe conquistare immediatamente il 4,5% del traffico navale mondiale per poi continuare a crescere, rivaleggiando con il canale di Panama più a Sud, che è tuttavia più corto, avendo una lunghezza di 75 chilometri. Insieme a chi non crede ai benefici economici che si prospettano per il Nicaragua, c’è già anche chi si domanda l’utilità di un nuovo canale, soprattutto in un momento in cui è previsto un allargamento di quello di Panama per permettere la navigazione alle nave da cargo giganti di nuova costruzione.

E in quanto alle conseguenze sul piano più strettamente politico? In molti si chiedono quale sarà la reazione degli Stati Uniti (e perché no, di una delle potenze “emergenti” dell’America Latina) dinanzi all’ambizioso tentativo cinese di penetrazione in quello che sinora è stato il “cortile di casa” di Washington.

Miriam Rossi


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