Da Grillo ai 101, ecco la versione di Bersani

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ROMA — Lo ripete con quello che per alcuni è un mantra, per altri un’ossessione. Come ha fatto l’altro giorno parlando con amici bolognesi: «Io voglio girare per le feste del partito, tra la nostra gente, per raccontare la mia verità». Se avesse voluto mollare la presa, allora avrebbe accolto la «grossa proposta» che alcune case editrici gli avevano fatto nelle settimane passate. Quella di scrivere un libro di memorie che avesse un inizio, la vittoria alle primarie del 2012, e una fine, il giorno del giuramento del governo Letta. Sconfitta o «non vittoria» alle elezioni, come continua a chiamarla lui, compresa. E invece niente. Dietro il «no grazie» con cui Pier Luigi Bersani ha respinto le proposte editoriali, c’è la voglia dell’ex segretario del Pd di rimanere ancorato alla nave.

Già, la nave. Visto che l’epoca «di starci su come capitano» sembra alle spalle, adesso, come Bersani ha spiegato ancora l’altra sera a Roma, «voglio dare una mano da mozzo». E ha anche indicato l’ambito: il rapporto tra il Partito democratico e « il campo dei progressisti e dei democratici europei». No, un ritorno sul luogo del delitto, e cioè una candidatura alle elezioni Europee come quella nel 2004 catapultò a Bruxelles dopo una campagna elettorale condotta in tandem con Enrico Letta, quella è da escludere. «È un’esperienza che ho già fatto». Piuttosto, è l’unico indizio che ha dato, potrebbe proporsi come elemento di raccordo tra il partito che guidava e i rappresentati degli altri partiti socialisti o socialdemocratici dell’Ue, con cui l’anno scorso aveva stretto i bulloni di un rapporto in previsione di quell’approdo a Palazzo Chigi che poi non c’è mai stato.

Strano ma vero, per uno scherzo del destino che tanto scherzo non è, trattasi dello lo stesso «ambito» a cui continua a puntare anche il suo «vero» nemico all’interno del Pd. Che non si chiama Matteo Renzi, ma Massimo D’Alema.

Non si parlano da mesi, i due. E quando succede che si trovino alle stesse iniziative di partito, com’è capitato qualche settimana fa al Nazareno per la presentazione del documento dell’area «Fare il Pd», evitano financo di incrociarsi con lo sguardo. Un’indifferenza reciproca arrivata molto al di là dei confini del semplice «gelo». Nessuno dei due lo ammetterebbe mai. Ma D’Alema ha messo in conto a Bersani tanto le polemiche che lo portarono a rinunciare alla candidatura quanto la mancata nomination per il Quirinale, su cui il presidente di ItalianiEuropei aveva chiesto (e, almeno a parole, ottenuto) anche il disco verde del sindaco di Firenze. Al contrario Bersani in cuor suo avrebbe messo in conto ai dalemiani una parte di quei franchi tiratori che, dopo il tormentato voto per il Quirinale, avrebbero portato contro un iceberg tanto il partito quanto la sua segreteria.

«Sui centouno ci ho messo una pietra sopra io. Non ci penso più», dice adesso l’ex segretario. Segno che quella diplomazia parallela che punta a rimetterli attorno a un tavolo, l’uno di fronte all’altro, potrebbe presto riuscire nell’impresa. Dove non perdona, Bersani, è sul voto alle politiche. «L’altro giorno, in aeroporto, m’ha fermato uno che ha votato Cinquestelle solo perché pensava che “fossimo già a posto”. Ma questo tipo di perdono lo fa qualcuno lassù», e l’indice ha indicato il cielo, «non venite da me…».

Da lui, adesso, c’è la voglia di fermare la corsa verso Palazzo Chigi di Renzi. Infatti, al contrario dei paletti messi dal sindaco sulle regole del congresso venturo, Bersani insiste «su un segretario che faccia il segretario a tempo pieno». E il famoso «uomo solo al comando» rivisto in chiave positiva con tanto di citazione per Fausto Coppi, citato da «Matteo» nel suo libro Oltre la rottamazione ? «Coppi, alla fine, vinceva lui… Noi siamo un partito che dovrà sopravvivere a chi lo guida. Di questo tipo di partiti siamo rimasti solo noi», ha risposto «Pier Luigi». Quanto alla verità dei mesi trascorsi, forse sarà anche materiale da libro. Di un libro in cui prima o poi troveranno spazio i contatti cercati invano con Beppe Grillo («Ad Arcore no, ma a Genova sarei andato…»), la sua versione sui «101 traditori» e anche quella storiella tramandata da alcuni suoi anonimi vicini di sedia a Montecitorio. Che, durante uno dei passaggi del giuramento di Giorgio Napolitano, avrebbero sentito lui, Bersani, tamburellare le dita sul banco e scandire nitidamente il tormentone di quei giorni: «Ro-do-tà, Ro-do-tà, Ro-do-tà».

Tommaso Labate


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