Emma frenata da una telefonata di Letta ma era stata anche tentata dalle dimissioni

Loading

ROMA — Anche l’arma estrema delle dimissioni è stata vagliata. Di fronte all’escalation dell’affaire Shalabayeva, nei giorni più caldi dello scontro politico, Emma Bonino ha pensato di dimettersi. Ufficialmente sempre negata, la possibilità di lasciare il suo incarico il ministro l’avrebbe confidata di recente a un amico, ma aggiungendo anche la ragione per cui alla fine ha scelto di restare al suo posto: «Non volevo fare la fine di Terzi». La fine cioè del ministro degli Esteri di Monti, messo nell’angolo e sconfessato dal suo stesso governo sulla scelta di rimandare i marò in India.
Bonino è consapevole della difficoltà della sua posizione, specie alla vigilia dell’audizione in Senato. Così ieri, in un momento di sincerità davanti alle
telecamere a Bruxelles, il ministro degli Esteri si è lasciata andare a una frase sibillina: «Mi sono occupata del caso Shalabayeva in solitario, di fronte a istituzioni del paese che continuavano a ripetere che tutto era regolare ». Bonino insomma non ce la fa più a restare sulla graticola per responsabilità che non sono sue. Ma ieri è stata costretta a mordersi la lingua, a spiegare che intendeva riferirsi «alle attività della Farnesina, che non mi paiono evidenziate a sufficienza». Nel governo corre voce che ci sia stata ieri mattina una telefonata allarmata di Enrico Letta al ministro degli Esteri, con il premier preoccupato per lo scontro che sembrava accendersi nella sua squadra. Nelle parole della Bonino non era difficile leggere infatti un’accusa ai colleghi Alfano e Cancellieri, alle loro burocrazie ministeriali.
Marco Pannella, che con Bonino ha parlato a lungo in questi giorni prima di prendere posizione, domenica sera a Radio radicale ha raccontata in diretta la sua versione: «Emma ha fatto quello che nessun altro ha fatto. Invece di delegare tutto a un funzionario, a un dirigente, a un ambasciatore, ha subito dato personalmente notizia della cosa ai vertici istituzionali, dicendo tutto quello che sapeva». C’è poi la questione dell’eventuale espulsione dell’ambasciatore kazako Yelemessov. Matteo Mecacci, ex deputato radicale ed esperto di Kazakistan, ha trovato la norma che potrebbe tirare fuori dall’imbarazzo la Farnesina. La Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche impone infatti agli ambasciatori di «trattare tutti gli affari ufficiali con il ministero degli affari Esteri dello Stato accreditatario o, per il tramite di esso, con un altro ministero convenuto ». Insomma, Yelemessov non avrebbe potuto istallarsi al Viminale senza prima concordare la sua azione con la Farnesina, unico interlocutore legittimo di un ambasciatore. Per questo, prima dell’espulsione, agli Esteri adesso si aspettano che sia lo stesso Kazakistan a richiamare il suo diplomatico in patria.


Related Articles

Quel fronte che vuole Matteo a Palazzo Chigi

Loading

IN QUESTI giorni lo schema “politico” sembra chiaro. Tutti si attengono o fanno finta di attenersi ad un binario piuttosto lineare. Matteo Renzi lavora al rilancio del suo partito, il Pd, e si è impossessato del gioco sulle riforme: la legge elettorale, la trasformazione del Senato e la modifica del Titolo V della Costituzione.

Crisi di governo. Perché quest’Europa non farebbe la guerra a Salvini

Loading

Nel contesto europeo le voci democratiche (compresi i popolari meno conservatori), devono dare battaglia non solo sui valori ma sulle politiche economiche

Deriva pericolosa

Loading

Una roba così non era mai successa. Il capo dello Stato che convoca i capigruppo al Quirinale, li mette in riga come scolaretti, gli chiede conto dei fatti e dei misfatti. D’altronde non era mai successo nemmeno il finimondo andato in scena negli ultimi due giorni.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment