L’Artico, una nuova partita a scacchi geopolitica

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Sono parole che il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon, in visita in Islanda pochi giorni fa, ha indirizzato alla Commissione Affari Esteri del Parlamento di Reykjavík, complimentandosi per il suo sostegno alla comunità internazionale in settori chiave quali la giustizia penale internazionale, l’eguaglianza di genere, l’assistenza umanitaria, la cooperazione internazionale e la normativa in materia di utilizzo degli oceani. Proprio quest’ultimo ambito appare interessante in vista del conseguimento entro il 2015, in base agli Obiettivi del Millennio, di un accordo globale vincolante in materia di sviluppo sostenibile.

“Signore e signori, uno sviluppo sostenibile è strettamente connesso a una pace sostenibileha sentenziato ancora il mite Segretario Generale dall’Università di Reykjavík. Un’ovvietà che andrebbe piuttosto gridata a piena voce, additando le drammatiche crisi globali a livello finanziario, alimentare e ambientale come esempi negativi dovuti alla sua mancata applicazione. L’Islanda ospita importanti programmi di formazione delle Nazioni Unite nei settori dell’energia geo-termica, della pesca e del potenziamento dei diritti delle donne; ma soprattutto, la profonda conoscenza dell’ambiente marittimo ne ha determinato il forte contributo alla messa a punto della Convenzione sul Diritto del Mare. Appare dunque logico il suo supporto al progetto ONU “Energia sostenibile per tutti”, di cui il presidente della Repubblica islandese Ólafur Ragnar Grimsson è addirittura un membro del comitato consultivo, lanciato con l’ambizioso obiettivo di assicurare energia, frutto di risorse sostenibili, in tutto il mondo entro il 2030. L’energia sarà infatti un elemento cruciale che potrebbe consentire di limitare gli impatti negativi del cambiamento climatico e di favorire il passaggio, in ogni modo necessario, verso lo sviluppo sostenibile.

Il percorso per arrivare a una più ampia e reale condivisione di questa prospettiva appare però ancora lungo, specie fin tanto che le risorse energetiche “tradizionali”, pur in esaurimento, sussisteranno sul pianeta. Proprio la zona artica è oggi individuata quale una delle “più calde” in termini di acquisizione di diritti di sfruttamento legati alle conseguenze del surriscaldamento globale e della riduzione dei ghiacciai. Tacitando le pessimistiche valutazioni circa le estremamente dannose conseguenze di tali fenomeni per l’esistenza umana, sono diverse le potenze che vedono nello scioglimento dei ghiacciai, e dunque nell’apertura di nuove rotte fino a pochi anni fa inaccessibili, la possibilità dell’avvio di nuove enormi opportunità per i trasporti, i commerci, il turismo, le attività militari e chiaramente per lo sfruttamento delle risorse naturali nella vasta regione sopra il Circolo Polare Artico. Gli esperti ipotizzano che nell’area del Mar Artico giaccia il 13% delle risorse petrolifere ancora intatte nel pianeta e il 30% del gas, un elemento di non poco conto nel momento in cui le riserve energetiche globali sono in esaurimento.

In quest’ottica sono diversi gli Stati che stanno tentando di ottenere rapporti privilegiati con quei territori. L’accordo di libero scambio stipulato dalla Cina con l’Islanda in aprile si pone nel solco di questa riflessione. Non diversamente si potrebbe guardare a un accordo commerciale che riguarda una parte tanto esigua degli scambi da e per Pechino. Nel 2011 il PIL dell’Islanda è stato pari a 14 miliardi di dollari, poco più di un “errore di arrotondamento” di quello della Cina che a quell’anno ammontava a circa 7.300 miliardi di dollari. Le esportazioni islandesi in Cina, principalmente di prodotti ittici, sono state pari a 61 milioni di dollari, mentre ha importato beni e servizi cinesi per un valore di 341 milioni di dollari. Di certo, se l’Islanda non può offrire molto in termini di nuova significativa crescita del mercato, potrebbe aiutare però molto Pechino nella sua ricerca di una maggiore influenza nella zona artica. La chiara strategia della Repubblica Popolare Cinese coinvolge anche la sua adesione come osservatore permanente al Consiglio Artico, un forum intergovernativo di cooperazione che discute dei problemi dei governi artici e della popolazione indigena dell’Artico. Si tenga conto che la richiesta cinese non è nient’affatto isolata. Agli attuali 8 Stati membri del Consiglio Artico, oltre all’Islanda, Canada, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia, Russia, Stati Uniti, si sommano diversi osservatori permanenti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Polonia, e più recentemente Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Singapore e anche Italia, che ha ottenuto l’adesione appena nel maggio scorso soprattutto per il mantenimento nelle isole Svalbard della Base Artica Dirigibile Italia e della Amundsen-Nobile Climate Change Tower.

Una nuova partita a scacchi geopolitica ha dunque avuto inizio: che ogni Stato faccia la sua mossa anche se forse, alla fine del gioco, al sorriso della vittoria si alternerà l’amarezza per aver sprecato una nuova opportunità di militare tutti nella stessa squadra per la salvaguardia del futuro del pianeta.

Miriam Rossi


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