Ora la Fiom scrive a Marchionne “Confronto sui problemi del gruppo”

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TORINO — La mail è stata inviata ieri pomeriggio dall’ufficio del segretario generale della Fiom ai vertici del Lingotto, il presidente John Elkann, l’ad Sergio Marchionne e il responsabile della relazioni industriali, Pietro De Biasi: «Gentilissimi — è scritto — la recente pronuncia della Corte Costituzionale indica a tutti l’opportunità di superare le vie giudiziarie e di costruire un più proficuo e utile confronto di natura negoziale sulla base di normali e qualificate relazioni industriali, capaci di affrontare al meglio la difficile situazione produttiva e occupazionale che coinvolge le lavoratrici e i lavoratori di tutto il gruppo Fiat. Con la presente, alla luce di quanto sopra, siamo a richiedervi un incontro. In attesa di un vostro cortese riscontro, cogliamo l’occasione per porgere i nostri più distinti saluti».
All’indomani della sentenza della Consulta che giudica incostituzionale l’estromissione della Fiom dalle fabbriche del Lingotto, Maurizio Landini propone dunque di tornare ai tavoli sindacali: «L’obiettivo della Fiom — spiega Landini — non è certo quello di andare in tribunale. Ci si rivolge ai tribunali quando si ritiene che vengano calpestati dei diritti. Lo facciamo
noi e lo ha fatto la Fiat. La Corte Costituzionale, che non è un covo di estremisti, ha dato ragione alla nostra tesi che non riguarda noi ma i diritti di tutti i lavoratori italiani. Chiarito questo, alla Fiom interessa difendere il lavoro in Italia e per questo proponiamo alla Fiat un confronto serio. Ci interessa che la Fiat resti in Italia perché è una parte importante del sistema industriale italiano che noi intendiamo difendere ».
L’apertura di Landini viene all’indomani delle polemiche di Pomigliano dopo la lettera del responsabile dello stabilimento Fiat che criticava il vescovo di Nola per essere andato a portare solidarietà ai cassintegrati in una manifestazione indetta da Fiom e Cobas. Ieri mattina a Torino Marchionne ne ha parlato in un faccia a faccia inatteso, all’Unione industriale, con il vescovo torinese Cesare Nosiglia che ha chiesto conto dell’attacco della Fiat al suo confratello di Nola: «Il vescovo di Nola è stato messo in una situazione difficile», ha replicato L’ad del Lingotto».
Questa mattina Marchionne illustrerà nello stabilimento di Atessa i nuovi investimenti del gruppo torinese nel settore dei veicoli commerciali e c’è da immaginare che dirà la sua sulle polemiche di questi giorni. Alla visita era stata invitata anche la Presidente della Camera Laura Boldrini che però ha declinato l’offerta per il tono della lettera dell’ad del Lingotto scritta all’indomani della visita di Landini alla stessa Boldrini.
Sui nuovi investimenti Fiat in Italia ha insistito ieri mattina a Torino il ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato che partecipava, insieme a Giorgio Squinzi, all’assemblea annuale di Confindustria Piemonte. Zanonato ha riconosciuto alla Fiat di essere «un asset per il Paese» che va «benvoluto e aiutato in ogni modo» ma ha anche invitato l’azienda a «operare per superare il sostanziale fermo di alcuni stabilimenti». Zanonato ha fatto l’esempio di Mirafiori «uno stabilimento che rischia l’obsolescenza».
La Fiat si prepara intanto al rush finale nella trattativa con il fondo Veba che possiede ancora il 41,5 per cento di Chrysler. Ieri il Lingotto ha annunciato di aver opzionato un nuovo pacchetto del 3,3 per cento di azioni e di aver offerto 254 milioni di dollari sulla base dei parametri fissati nell’accordo con il sindacato nel 2009. Sul valore delle azioni dovrebbe pronunciarsi entro l’estate il giudice del Delaware. È però significativo che Fiat abbia offerto per questo nuovo pacchetto un valore quasi doppio rispetto ai 140 milioni offerti a luglio 2012 per un pacchetto di identica quantità. È vero che nel frattempo il valore di Chrysler è salito ma è altrettanto vero che l’interpretazione dei parametri dell’accordo porta oggi Fiat a valutare circa 3 miliardi di dollari il 41,5 per cento che lo scorso anno la stessa Fiat valutava 1,8 miliardi. Un segnale della disponibilità di Marchionne ad allargare i cordoni della borsa?


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