Renzi-Betori, nuovo scontro a distanza

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ROMA — «Io dico oggi che sono l’oggetto di un duro attacco politico. Che parte dall’Opera del Duomo, prosegue con l’intervento del cardinale e probabilmente andrà avanti nei prossimi giorni». E questo è soltanto un piccolo assaggio della controffensiva nei confronti del cardinale Giuseppe Betori, che nella sua omelia della messa per il santo patrono aveva legato il caso delle escort al «degrado morale» dell’intera città. Più tardi, via Twitter, il cardinale gli risponderà smentendo l’attacco politico e rivendicando che «mi preme solo il bene di Firenze e dei fiorentini». Ma ormai l’ultimo capitolo dello scontro tra il sindaco di Firenze e l’arcivescovo, che non sarà quello finale, era già scritto.

Perché il Matteo Renzi che ieri pomeriggio si presenta al Consiglio comunale di Firenze, con le maniche della camicia bianca arrotolate, non è soltanto il probabile candidato alla segreteria del Pd. È anche, forse soprattutto, «il sindaco che difenderà la dignità della città che governo e quella di tutti i fiorentini». Ed è senz’altro un uomo che, dalla scarpa, ha parecchi sassolini da togliersi. E tanti, tantissimi, conti da regolare. Anche se in maniera serena e quasi divertita.

Uno è con monsignor Betori, che secondo i renziani ortodossi starebbe già guardando al successore di «Matteo» a Palazzo Vecchio, per «cui preferirebbe un ciellino». I sospetti della cerchia ristretta del sindaco hanno già individuato pure l’identikit del candidato a cui la Curia — secondo loro — starebbe tirando la volata: il pidiellino Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione.

Renzi questo non lo dice. Ma è come se lo lasciasse intendere. «Difendo il diritto della Chiesa di dire la sua. Ma non sono così ingenuo da non pensare che, secondo la scuola “ruiniana”, un’omelia così non abbia un significato ultroneo». E quindi «politico».

Una ruggine lontana, quella tra Renzi e Betori. Che parte da quando il secondo non gradì la scelta del primo di lanciare un bando per la destinazione di alcune case popolari a «coppie fiorentine», senza specificarne il sesso. Un implicito aiutino alle coppie gay, insomma. Una ruggine che andata avanti anche ieri quando il sindaco, uscito dalla sala del Consiglio comunale, ha proseguito coi suoi collaboratori il discorso su Betori: «Da laico, difendo il suo diritto di criticarmi ma dovevo rispondergli per tutelare il buon nome di questa città». Città per la quale Renzi ha intenzione di «continuare ad aumentare», per il secondo anno consecutivo, «i fondi destinati alla cultura e al sociale».

Ma, della lista delle personalità a cui Renzi doveva una risposta, Betori è soltanto uno dei nomi. Il suo compagno di partito, nonché governatore regionale, Enrico Rossi, aveva bollato la liquidazione del Maggio fiorentino alla voce «figuraccia planetaria»? Bene. Il sindaco risponde con un siluro terra-aria. «Chi non vuole la liquidazione vuol pagare tutto alle banche. E in effetti, c’è una tradizione di sinistra favorevole alle banche…».

E non è finita. Renzi risponde alle accuse di assenteismo dal Consiglio comunale («Il presidente del Consiglio non va sempre in Parlamento, ci vanno i ministri. Nel caso del sindaco, spesso ci vanno i suoi assessori»), torna sulla ricostruzione del bunga bunga in salsa fiorentina fatta dalla stampa vicina al centrodestra («Per adesso stiamo parlando del caso di un dipendente del Comune a fronte di un giro di escort. E questo sarebbe il bunga bunga a Palazzo Vecchio?»), replica ai dossier di Brunetta ma, dentro di sé, ha la sensazione che il vero nemico che gli sta facendo la guerra si chiami Silvio Berlusconi.

Sensazione che comincia a farsi largo anche nel Pd. L’ex braccio destro dalemiano Nicola Latorre, che guarda al sindaco di Firenze con sempre maggiore simpatia, lo dice chiaro e tondo: «Ho la sensazione che i nemici di Renzi siano in aumento. E che il primo di essi sia il Cavaliere…». E la girandola continua. Perché, quand’anche non sia certo ancora possibile tornare a catalogarlo come «nemico», anche Massimo D’Alema ha ripreso a prendere le distanze dal «Rottamatore». «Lo Statuto del partito lo abbiamo derogato per Renzi. Non vorrei che quando si deve derogare per lui si può, quando non è per lui non si può», ha scandito l’ex premier, sottolineando con la penna rossa che «le regole non sono a uso di Renzi». Quest’ultimo, dalla sua, aveva già precisato che nell’intervista alla Faz «ho solo ricordato che la norma sul segretario che è anche candidato premier oggi è prevista, domani chissà…». Il domani è ancora carico di ombre. Renzi s’è dato tempo fino al 31 luglio per decidere se scendere in campo o meno. E il rinvio della commissione per il congresso, in programma ieri, lascia intendere che i tempi si allungano. Tutti, i tempi.

Tommaso Labate


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