Violenze di piazza in Egitto Morsi accusato di complotto

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IL CAIRO — Le due anime dell’Egitto scendono in piazza. E il mondo arabo trattiene il fiato. È in gioco il destino del Medio Oriente destabilizzato dalle rivoluzioni di due anni fa. Sostenitori della giunta militare al potere al Cairo dopo il colpo di forza del 3 luglio e militanti dei Fratelli Musulmani si sfidano per determinare l’identità e il futuro del Paese. La violenza è nell’aria. Ieri hanno manifestato in milioni per tutte le città più importanti. Cortei contrapposti, i cui tragitti si sfiorano, si minacciano. E quando si toccano scoppiano scaramucce a colpi di bastoni e pietre, qualche volta anche armi da fuoco. In serata erano segnalati almeno cinque morti ad Alessandria e circa cento feriti negli scontri avvenuti a Suez, Damietta e attorno alla capitale. I bilanci di sangue sono comunque destinati a crescere nelle prossime ore. Con il buio della notte e dopo la cena, che in tempo di Ramadan segna la fine del digiuno quotidiano, gruppi di giovani sono arrivati a rafforzare i cortei. Le vie del Cairo echeggiano la rabbia delle folle. I due campi non sono affatto proni al compromesso. Per pura comodità li definiamo «laici e religiosi». Ma è una definizione approssimativa, che non comprende la complessità dei due universi contrapposti. Loro, negli slogan, si chiamano «anti-Morsi» e «pro-Morsi». Ed è probabilmente più preciso.

Al cuore della contesa sono infatti due personaggi assolutamente diversi. Il primo è Mohamed Morsi, il leader dei Fratelli Musulmani nominato presidente del Paese alle elezioni del giugno 2012 e defenestrato poco meno di un mese fa. La novità ieri è stata che, per la prima volta dal suo arresto e la prigionia in un luogo segreto, il pubblico ministero sostenuto dai militari ha reso noto un primo atto d’accusa. È infatti imputato di aver «complottato» ai danni dello Stato egiziano assieme ad Hamas (il gruppo fondamentalista religioso palestinese che controlla la Striscia di Gaza) e di essere tra l’altro responsabile della morte di almeno 15 agenti, che erano di guardia al carcere dove lo stesso Morsi era rinchiuso prima di venire liberato da un gruppo armato durante la rivoluzione all’inizio del 2011. Le autorità annunciano inoltre che Morsi sarà «trattenuto per almeno altri 15 giorni» al fine di garantire il proseguimento dell’inchiesta. Subito i Fratelli Musulmani hanno bollato le accuse come «assolutamente ridicole e pretestuose». Da Gaza i leader di Hamas (che hanno storicamente un rapporto filiale con i gruppi islamici egiziani) negano di aver mai interferito negli affari interni egiziani.

Nemico giurato di Morsi e motore primo dell’intervento militare è il generale Abdel Fattah Al Sisi. Autonominato vice-premier e ministro della Difesa, è de facto l’uomo forte che ha promesso di guidare il Paese nella transizione verso «libere elezioni democratiche entro i primi mesi del 2014». A scatenare le tensioni delle ultime ore è stato anche il suo appello mercoledì scorso in cui chiedeva agli egiziani di tornare in piazza per legittimare il pugno di ferro contro i Fratelli Musulmani. Scade tra l’altro oggi pomeriggio il suo ultimatum ai gruppi islamici di porre fine alle manifestazioni e ai presidi di piazza. Il peggio potrebbe ancora venire. Ieri le fotografie di Morsi in giacca e cravatta e Al Sisi, in alta uniforme con gli inquietanti occhiali neri, dominavano i cortei delle due parti. Gli automobilisti con i manifesti di uno dei due che per errore finivano nei cortei del campo avversario venivano attaccati e picchiati, le auto prese a sassate. «Legittimità. Basta con la dittatura dell’esercito. Esigiamo che il golpe militare abbia termine e riconosca la legittimità democratica del presidente Morsi», gridavano i Fratelli Musulmani. «Noi autorizziamo l’esercito egiziano a combattere i terroristi con ogni mezzo», rispondevano gli altri sventolando la bandiera nazionale.

Lorenzo Cremonesi


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