Bhutan: il finto regno della Felicità Interna Lorda

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Nel 2006 quando Jigme Singye Wangchuck ha abdicato in favore del figlio Jigme Khesar Namgyel Wangchuck che ha indetto nel 2008 le prime libere elezioni del paese, il Paese ha iniziato un lungo e virtuoso percorso di modernizzazione verso una più piena democrazia, che ha lentamente isolato il potere monarchico dagli ingranaggi dello stato, ma che ha anche creato attraverso le leggi per l’omogeneizzazione della cittadinanza del 1985 seri problemi di convivenza soprattutto con i cittadini di origine nepalese (Lotshampa) che sono stati ciclicamente espulsi. Per questo in occasione dell’insediamento del nuovo Governo del premier Tshering Tobgay e a un mese dalle seconde elezioni libere del paese asiatico concluse il 13 luglio scorso, l’Associazione Popoli Minacciati (Apm) si augura un cambio radicale delle politiche “di pulizia etnica” dell’ultimo regno himalayano, nonostante nessuno dei candidati durante la campagna elettorale abbia mai toccato il problema dei profughi di etnia nepalese espulsi dal Paese soprattutto negli anni ‘90 e a tutt’oggi costretti a vivere prigionieri nei campi profughi al confine con il Nepal.

La “nuova legge” sulla cittadinanza introdotta nel 1985 ha, infatti, costretto più di 100.000 Sud-Bhutanesi a fuggire dalle loro case e dal loro Paese. “Secondo questa legge – ha spiegato l’Apm l’associazione che dal 1992 da voce alle minoranze minacciate o alle vittime delle violazioni dei diritti umani – veniva riconosciuto come cittadino del Bhutan solo chi poteva provare che entrambi i genitori erano cittadini bhutanesi e dimostrare inoltre con fatture, cartelle delle tasse o altri documenti che vivevano in Bhutan già prima del 1958. Tutte le altre persone dovevano lasciare il Bhutan entro 4 giorni”. Di fatto si è trattato di una cosiddetta “pulizia etnica con la quale l’etnia maggioritaria dei Ngalong sperava di ottenere l’abbandono del Paese da parte delle altre etnie” ha precisato l’Apm. Per l’Apm, “Adesso non è più accettabile che un Paese che ha dichiarato di perseguire innanzitutto la Felicità Interna Lorda (FIL) dei suoi abitanti e ha fissato questo principio nella sua costituzione, continui ad espellere i suoi cittadini unicamente a causa della loro appartenenza etnica” ed ha chiesto di“riammettere subito i circa 100.000 sud-Bhutanesi espulsi perlopiù a causa della loro appartenenza etnica”.

In particolare l’Apm si è detta “particolarmente preoccupata per l’alto numero di suicidi tra i circa 40.000 profughi del Bhutan accolti in Nepal e i circa 60.000 profughi accolti fin dal 2008 negli USA”.?? Allarmati dall’alto numero dei suicidi tra i profughi del Bhutan, le autorità americane per i profughi hanno, infatti, incaricato il Centro per la salute dei profughi del centro di salute del Massachusetts di effettuare uno studio sulla situazione psichica dei profughi bhutanesi. Secondo lo studio pubblicato lo scorso mese di luglio i profughi provenienti dal Paese asiatico soffrono di disturbi post-traumatici e necessitano urgentemente di maggiore assistenza psicologica visto che “tra loro si contano 20,3 suicidi ogni 100.000 persone, ossia circa il doppio della media USA che registra 12,4 suicidi ogni 100.000 persone”. Tra i profughi accolti in Nepal e che vivono ancora in campi profughi “il tasso di suicidio calcolato su 100.000 persone è di addirittura 20,7”.

Altro tema tabù per queste elezioni sono state le leggi “anticonversione”, varate nel 2010, che impediscono alla popolazione, al 90% buddista, di cambiare religione. Se è vero, infatti, che dal 2007 il Governo del Bhutan ha iniziato a promuovere la libertà di culto dopo secoli di monarchia assoluta che proibiva la pratica di religioni diverse dal buddismo, e che la nuova Costituzione varata nel 2008 prevede la libertà religiosa per tutti i bhutanesi, previa segnalazione alle autorità competenti, in realtà la possibilità sembra essere limitata da alcune leggi all’ambito formale. Negli anni, infatti, sono si sorti alcuni templi indù ma, ancora oggi i cristiani e altre minoranze religiose non possono costruire facilmente luoghi di culto e celebrare in pubblico.

A più riprese Tek Nath Rizal,leader in esilio del Bhutanese People’s Party e attivista per i diritti umani, ha denunciato la grave situazione dei diritti umani nel suo Paese chiedendo alla comunità internazionale di fare pressioni sul nuovo Governo, ma poco è cambiato da quando ha affermato, ancora nel 2010, che “Il Bhutan è uno Stato multietnico e multilinguistico dove sono parlate 22 lingue. Purtroppo, il Governo ha imposto una lingua ufficiale il dzongkha e il buddismo Kagyurpa come unica religione. Induismo, cristianesimo e anche la setta buddista Nyingmapa sono state soppresse nonostante la costituzione non lo preveda”. Secondo il dissidente, inoltre, nelle regioni meridionali a maggioranza nepalese le scuole sequestrate negli anni ‘90 dal regime non sono mai state restituite alle comunità locali e i pochi bambini che frequentano gli istituti pubblici sono oggi obbligati a seguire lingua, religione e tradizioni imposte dal precedente Governo. “Considerando il grado di oppressione sulle persone innocenti – ha concluso Rizal finora il Bhutan è non è mai stato una vera democrazia e ha cercato di bendare la comunità internazionale nel nome della Felicità Interna Lorda”.

Ora dopo che la partecipazione alle elezioni del 13 luglio scorso ha registrato circa 390 mila votanti su una popolazione di 750mila abitanti (residenti soprattutto in villaggi montani a oltre 4mila metri di quota) superando l’affluenza della passata edizione, dove migliaia di persone non avevano potuto votare perché impossibilitati a raggiungere i seggi e dopo che i politici hanno fatto per la prima volta una vera e propria campagna elettorale villaggio per villaggio, affrontando temi come economia, educazione e infrastrutture, la sfida verso un vero cambiamento democratico del Bhutan è lanciata. Il nuovo premier Tobgay, che ha vinto le elezioni con una vittoria schiacciante anche grazie agli scandali di corruzione e malversazione che hanno travolto il suo predecessore Jigme Thinley, ha ottenuto per il Partito Popolare Democratico finora all’opposizione 32 seggi parlamentari su 47 ed ha la concreta possibilità di fare un altro passo verso il pieno rispetto del suo popolo e dimostrare che la Felicità Interna Lorda non si ottiene con le espulsioni e senza la libertà religiosa. Ne avrà la volontà?

Alessandro Graziadei


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