Migliora il Pil Usa. Ma alla Fed non basta

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NEW YORK — L’economia americana nel secondo trimestre del 2013 cresce un po’ più delle previsioni e va significativamente meglio rispetto ai primi tre mesi dell’anno. Ma, anche se visti dall’Europa in recessione questi progressi sembrano consistenti, in realtà la debolezza di fondo del sistema produttivo e finanziario è sempre lì. E, infatti, la Federal Reserve, al termine del suo ultimo meeting prima della pausa estiva, conferma non solo i livelli bassissimi — praticamente zero — dei tassi d’interesse, ma anche il proseguimento della politica di acquisti di titoli del Tesoro e di obbligazioni immobiliari per un totale di 85 miliardi di dollari al mese.
Sostegni che, aveva annunciato poco più di un mese fa il capo della Banca centrale Usa, Ben Bernanke, dovrebbero andare gradualmente ad esaurirsi col miglioramento delle condizioni dell’economia. Ma ieri la Fed ha commentato i nuovi dati del Pil americano, appena pubblicati dagli uffici statistici del governo, con molta cautela: «Nel primo semestre dell’anno l’attività economica negli Stati Uniti ha registrato un’espansione molto modesta». Anche se le condizioni del mercato del lavoro sono migliorate e se i rischi di un nuovo cedimento dell’economia si sono ridotti, «il tasso di disoccupazione rimane troppo elevato».
Migliorano le spese delle famiglie e gli investimenti delle imprese e si rafforza il mercato immobiliare, «ma i mutui casa cominciano a registrare aumenti dei tassi d’interesse mentre le politiche fiscali (cioè l’aumento delle tasse e i tagli automatici della spesa pubblica, ndr ) frenano la ripresa». Per tutte queste ragioni la Fed ha deciso di comunicare che continuerà ad acquistare 40 miliardi di dollari di obbligazioni e 45 miliardi di titoli del Tesoro al mese ancora a lungo, con l’obiettivo di sostenere l’economia e in particolare il mercato delle abitazioni, tenendo bassi i tassi d’interesse a lungo termine. Si continuerà così fino a quando i livelli occupazionali non miglioreranno sostanzialmente o emergeranno rischi dal lato dell’inflazione.
Al tempo stesso la Fed avverte che il suo comitato dei governatori è pronto a modificare dimensioni e composizione di questi interventi se cambieranno le variabili economiche più significative: prezzi e lavoro. Insomma, se le cose continueranno ad andar bene, prima o poi i sostegni verranno ridotti, ma non succederà a breve. Un’analisi accolta positivamente dai mercati, con Borsa e dollaro in lieve ripresa.
Nessun cambiamento trascendentale, dunque, ma gli analisti sono stati favorevolmente sorpresi dai dati trimestrali pubblicati ieri dal Bureau of Economic Analysis, l’Istat americano, che indicano un incremento limitato ma comunque superiore alle previsioni del reddito nazionale, nonostante il freno dei tagli automatici di bilancio: a partire dal primo marzo la spesa non militare è stata ridotta del 3,2 per cento, mentre i dipendenti pubblici sospesi dal lavoro senza paga per alcuni giorni a rotazione hanno contratto la spesa per i consumi dell’1,8 per cento.
Anche dalla composizione del Pil è venuto qualche motivo di ottimismo: l’incremento del periodo aprile-giugno (1,7 per cento, rispetto all’1,1 per cento dei primi tre mesi dell’anno) è dipeso soprattutto da un aumento degli investimenti, soprattutto in infrastrutture, e da un’impennata delle esportazioni, soprattutto di aerei commerciali, mentre a frenare i numeri in crescita sono arrivati una parallela impennata dell’import e una riduzione delle scorte che vengono accumulate nei magazzini. In sensibile crescita il reddito, 3,2 per cento, dopo un forte calo (-8,2%) nel primo trimestre, ma qui hanno inciso troppi fattori anomali: dall’anticipo del pagamento di molte rendite finanziarie (dividendi azionari) a dicembre, agli aumenti del prelievo fiscale scattati il primo gennaio.
Tutti numeri che, comunque, non cambiano la strategia di Obama che sta cercando di incalzare il Congresso per ottenere il via libera a politiche più interventiste di sostegno dell’economia e riequilibrio nella distribuzione dei redditi: il ruolo di supplenza della Fed, che sta aiutando con la sua liquidità il sistema produttivo in assenza di stimoli fiscali, prima o poi verrà meno. E comunque l’intervento attualmente in atto, certamente efficace ai fini di sostenere i livelli dell’attività economica, lo è assai meno dal punto di vista della distribuzione del reddito. Qui gli squilibri negli ultimi anni si sono accresciuti e il denaro a costo zero sta arricchendo ulteriormente banche, finanza e alcune platee di investitori, più che il mondo del lavoro.
Massimo Gaggi


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