«L’America, poliziotto assente Ecco perché la rimpiangeremo»

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Gli Usa non vogliono e non possono più assolvere a un ruolo globale Rimpiangeremo lo sceriffo del mondo? Ci mancherà la «indispensable nation », giusta la celebre definizione che dell’America diede Madeleine Albright?
Non sono più solo quesiti retorici, di fronte al dipanarsi violento della crisi siriana, che tocca il nervo scoperto di un Presidente, e di un intero establishment, costretti a misurarsi con un dilemma esistenziale: se gli Stati Uniti debbano e possano continuare a garantire e sorvegliare in qualche modo l’ordine globale.
«Il mondo post-americano sta prendendo forma sotto i nostri occhi ed è caratterizzato da ambiguità politica, instabilità e caos. È una situazione molto pericolosa, così pericolosa che alla fine anche i più accaniti antiamericani potrebbero finire per rimpiangere il secolo in cui l’America è stata il guardiano del mondo».
Joschka Fischer chiama le cose per nome, indica rischi e pericoli, ma nelle crisi e nei cambi di stagione intravede anche inaspettate opportunità.
Non c’è alcun dubbio, spiega l’ex ministro degli Esteri tedesco, che «oggettivamente e soggettivamente gli Usa non vogliano e non possano più assolvere a un ruolo globale». Le cause sono note. L’emorragia «di sangue e denaro» provocata dalle avventure in Afghanistan e Iraq, la crisi economica e finanziaria, il debito pubblico, le nuove priorità interne, la necessità di concentrarsi sulla sfida che viene dal Pacifico, dove si misura il declino relativo dell’America di fronte alle potenze emergenti.
E anche se gli Stati Uniti, spiega Fischer, riusciranno prima o poi a ridefinire la loro posizione nel mondo, sulla base dei nuovi equilibri, è chiaro «che il peso relativo e l’estensione del loro potere ne usciranno ridimensionati». Ma l’attesa e il cammino verso il nuovo assetto strategico «sono densi di rischi e carichi di potenziali di conflitto dalle conseguenze incalcolabili».
Nulla lo dimostra meglio delle crisi mediorientali e in particolare di quella in Siria, dove finora l’importanza del ruolo americano è «diventata evidente in absentia di leadership». Osservava ieri sul Financial Times Gideon Rachman, che lo stesso intervento limitato con i missili cruise lanciati dalle navi, per il quale il presidente Obama ha chiesto l’autorizzazione del Congresso, non può mascherare il fatto che Washington al momento non abbia una vera e propria strategia per il dramma in corso a Damasco.
Ma è proprio questa, secondo Fischer, la ragione per cui siamo destinati a rimpiangere il buon tempo antico, quando l’America, secondo la celebre frase di John Kennedy, era pronta a «pagare ogni prezzo, assumersi ogni peso, far fronte a ogni avversità, sostenere ogni amico, combattere ogni nemico per assicurare la sopravvivenza della libertà».
«Ciò che impariamo oggi dalla crisi in Medio Oriente — dice Fischer — è che potenze regionali (Iran, Turchia, Arabia Saudita) stanno cercando di sostituirsi agli Usa come garanti dell’ordine. Ma ciò produce altro caos e combustibile per nuove violenze. Primo, perché nessuna di queste nazioni è forte abbastanza per rimpiazzare da sola l’America. E inoltre perché la frattura sciiti-sunniti produce politiche contraddittorie: così in Egitto i sauditi sostengono i militari contro la Fratellanza, mentre in Siria appoggiano i salafiti contro i militari, che a loro volta ricevono aiuti dall’Iran e dai loro accoliti libanesi dell’Hezbollah».
Eppure, secondo l’ex capo della diplomazia berlinese, la battaglia per il potere nella regione mediorientale e l’antagonismo ideologico che la caratterizza «possono creare opportunità di cooperazione prima considerate impossibili». Da questo punto di vista, «i colloqui Usa-Iran sul nucleare persiano, alla luce dell’elezione a presidente di Hassan Rouhani, potrebbero assumere un significato più ampio».
Quanto all’Europa, il riallineamento e le più contenute responsabilità che gli Stati Uniti saranno disposti ad assumersi nel nuovo mondo, le pongono una domanda precisa: «Potrà concedersi il lusso di essere incapace di difendersi senza l’aiuto americano?». La garanzia di Washington dentro la Nato non verrà meno, ma non basterà più. E allora, di fronte ai rischi di caos e crescente instabilità alle porte di casa, «forse l’Europa capirà che è il caso di smetterla di continuare ad avanzare sulla strada dell’autosmantellamento».
Paolo Valentino


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