E parte (subito) l’offensiva per fermare i «numeri due»

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ROMA — Alle 13.20, ora in cui i deputati si attovagliano al ristorante della Camera, Renato Brunetta torna da palazzo Grazioli, varca il portone di Montecitorio e strappa Fabrizio Cicchitto ai tiggì. Gli parla nell’orecchio con tono grave e una parola si distingue sulle altre: «Napolitano». Brunetta è una furia, coi suoi passi velocissimi corre verso l’Aula: «Sono scioccato dalla Procura di Palermo».
I magistrati e il capo dello Stato, ecco il corto circuito che ha innescato la miccia. Ma ad accendere il fuoco, insinuano, è stato uno di loro, Gaetano Quagliariello. Lo sussurrano i deputati più vicini a Verdini e Santanchè, spiegano che è stata la dichiarazione del ministro delle Riforme sulle dimissioni che «si danno e non si annunciano» a convincere anche i più riottosi che l’ora di «tirar fuori gli attributi» è ormai scoccata e che altro non resta da fare che dimettersi in massa. Tutti, subito. Un’azione senza precedenti che, a sentire i più estremisti, porterà dritto al voto di sfiducia, tirando giù a valanga anche le giunte locali… Ma no, è solo un’ipotesi bellicosa che a sera il capogruppo del Lazio, Luca Gramazio, si affretterà a smentire.
Dall’Aula di Montecitorio esce per primo il capo ufficio stampa, Luca D’Alessandro. «Stanno firmando tutti». Gli dicono che al Quirinale c’è grande agitazione e lui, insultante: «L’imperatore d’Italia lascia? Bene! Così è il primo e la smette di comandare nel partito nostro». Questi gli umori che ribollono tra i falchi del Pdl mentre i deputati, colombe comprese, lasciano l’Aula con facce di pietra e, sul corridoio dei passi perduti, i prestampati per le dimissioni passano di mano in mano. C’è chi firma e chi temporeggia. Lei si è dimesso, onorevole Piso? «Ancora no. Brunetta lo ha chiesto, ma vediamo, valutiamo». A sera avranno capitolato tutti, anche quel Giuseppe Castiglione finito nel mirino per le aperture a una nuova maggioranza. I siciliani, vigilati speciali, si affrettano a siglare il patto di fedeltà al capo, alla Camera e al Senato. «Il gruppo è compatto», allontana i sospetti Giuseppe Ruvolo.
Un oscuro peone non si capacita di dover dire addio allo scranno e un amico democratico lo prende in giro: «Ti sei dimesso? Ma che, sei scemo?». Dorina Bianchi sorride, con un che di rassegnato sul viso: «Le ho date, sì. Perché? Lo abbiamo fatto tutti…». Mariastella Gelmini scivola via in un silenzio indecifrabile, che scioglierà in una nota di agenzia: «Chiediamo solo che il Pd si ravveda». Pina Castiello lo dice in napoletano stretto: «Da cittadina mi dispiace se Letta cade, però mandare a casa Berlusconi non si può». Preoccupazione, sgomento, paura del salto nel buio. Finché, a ondate, i deputati del Pdl si risvegliano dallo choc e cominciano a ragionare sulle conseguenze del loro collettivo «atto di affetto» verso Berlusconi. Che succede, adesso? E se i primi dei non eletti decidessero di subentrare allegramente ai dimissionari? Gira voce di una lettera di dimissioni in bianco che il capogruppo avrebbe in mente di far firmare ai «subentranti». Categoria che improvvisamente (e fisicamente) si materializza. Ecco apparire Osvaldo Napoli, primo dei non eletti a Torino dopo Alfano, Capezzone e Annagrazia Calabria. «La crisi c’è già – sentenzia – come fa Letta a non presentarsi dimissionario da Napolitano?». E lei, subentra? «Ma no, non posso farmi dare del venduto».
Dimissionari, subentranti, pretendenti. E gufanti. Giorgio Stracquadanio, berlusconiano pentito e strafelice di poter lanciare in piena crisi la sua nuova «Cosa blu», predice agli ex colleghi un fosco futuro: «Letta metterà la fiducia e vi sgonfierete come un soufflé». Isabella Bertolini, la fu pasionaria del Cavaliere, concorda: «È l’ennesima sceneggiata. Come farete a non votare la fiducia?». Ma i falchi hanno l’aria di chi ha tagliato i ponti. Per Mara Carfagna, tailleur pantalone color panna, l’addio a orologeria è tutt’altro che simbolico e pazienza se le conseguenze saranno irreparabili: «Che amarezza! La decadenza di Berlusconi è l’emblema di un sistema malato. L’emergenza è lo Stato di diritto, non il governo». Uno smarrito Maurizio Bianconi si aggira in scarpe da ginnastica: «Questo governo fa schifo, ma può restare dov’è». Voterà la sfiducia? «La regola del Pdl è obbedire».
Monica Guerzoni


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