Cucchi, libro-inchiesta finanziato con il crowdfunding

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MILANO – Esce il 22 ottobre per l’Altraeconomia “Mi cercarono l’anima”, un libro inchiesta sui sette giorni tra l’arresto e la morte di Stefano Cucchi. La storia di Cucchi viene ripercorsa dal giornalista Duccio Facchini che racconta il tempo che il ragazzo ha trascorso nelle mani dello Stato. L’autore ha intervistato il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani e Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si occupa dei diritti dei carcerati. Il libro contiene anche un intervento di Lorenzo Guadagnucci sul rapporto tra verità giudiziarie e media. Guadagnucci ha iniziato ad occuparsi dell’argomento dopo i fatti della Diaz, durante il G8 del 2001.

“Mi cercarono l’anima”, edito l’Altraeconomia, è stato finanziato attraverso la piattaforma di crowdfounding Produzioni dal basso ed è prenotabile fin da ora. “Teniamo molto a rivendicare questo strumento. Crediamo in una forma di editoria indipendente in cui i proprietari sono i lettori che partecipano al progetto con una quota – spiega Duccio Facchini – è un aspetto importante che si colloca perfettamente nella natura del progetto”.

Sulle motivazioni del libro Facchini spiega: “Ho voluto ridare umanità alla figura di Stefano: il ragazzo è stato definito ?zombie?, ‘sieropositivo’ e ‘spacciatore abituale’. Il libro vuole restituire dignità alla famiglia, biasimata più volte dalla Procura per aver mostrato le foto di Stefano ai media. Questo è stato un atto di coraggio per evitare che la storia di Cucchi si aggiungesse ad una serie di casi di “arrestati nella notte” e finisse dimenticata, l’attenzione dei media ha dato nuova importanza al caso”.

Nel 2009 Stefano Cucchi viene arrestato perché in possesso di 21 grammi di hashish. Una settimana dopo l’arresto muore mentre si trovava ancora in custodia cautelare. Quel giorno pesava 43 chili, pochissimo per un ragazzo alto 1.76, e presentava lividi su tutto il corpo. Il libro cerca di dare una risposta alle tante domande, ai tanti buchi di questa vicenda. Dando voce a testimonianze come quella di Yaya Samura, ragazzo che divideva la cella con Stefano nei sotterranei del Palazzo di Giustizia e che afferma di averne visto il pestaggio.

A quattro anni da allora gli unici ad essere stati condannati in tribunale sono i medici del Reparto speciale del Sandro Pertini di Roma per negligenza, ma non ci sono ancora i responsabili dei traumi sul corpo di Stefano, secondo la Procura causati da una “caduta dalle scale”. I fatti raccontati in “Mi cercarono l’anima” dimostrano in realtà uno scollamento nella “catena di comando”. Medici, infermieri e agenti e magistrati: ognuno ha la sua parte di responsabilità nella morte del ragazzo. (Marcella Vezzoli)

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