I kamikaze del Cavaliere

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 Ma quando il Bin Laden di Arcore ha gridato che i giudici lo hanno fatto dimagrire di undici chili, «uno per ogni anno di condanna per i processi Mediaset e Ruby», lo spettacolo del dolore fisico è diventato patafisico. Berlusconi ha infatti trasformato il suo tormento in una bugia di vanità e tutti hanno finto di vederlo davvero smilzo e deperito come un vero detenuto, come la Ligresti o come Pannella durante lo sciopero della fame. Insomma sul dettaglio del peso il paffuto Cavaliere, che ormai raggiunge le dimensioni che aveva Elvis Presley al tramonto, è stato acclamato e la tempo stesso deriso dai suoi stessi deputati che battevano le mani e si davano di gomito: «Li ha messi o li ha persi questi undici chili?».
E non è l’unico dettaglio di verità. L’unanimismo, nella fine sgangherata di un’avventura, è sempre un po’ finto, un po’ rassegnato e un po’ cinico, infettato di umorismo macabro. È sicuramente vero che al termine di un’assemblea più ridicola che drammatica tutti i deputati e tutti i senatori hanno rassegnato le loro dimissioni future (ed è già una gag necrotica da cabaret questa del suicidio di massa, dei morituri che salutano il loro Cesare). Addirittura hanno firmato una lettera in bianco contro il voto del Parlamento di cui fanno parte e contro gli italiani che li avevano eletti perché Berlusconi prometteva in tv meno tasse e più lavoro.
E però quest’unanimismo profetizza già il fuggi fuggi, è il preludio al “ciascuno si arrangi”, al “si salvi chi può”. In mare si grida: «Every man for himself». E difatti c’è già pronto un fuori onda di Castiglione, una nuova fuga di Quagliariello in seggiovia, una svendita della Gelmini, un’udienza segreta di Alfano dal capo dello Stato con Letta-nipote e Maurizio Lupi, qualche Letta-zio e qualche Ennio Doris da mandare in ricognizione … senza contare i tanti nomi “coperti” all’orecchio del Quirinale. Insomma in segreto tutti tramano ma davanti al capo tutti strepitano.
Già ieri sera quando sono usciti dall’aula e in capannelli si sono avviati verso i ristoranti del centro di Roma, i kamikaze di Berlusconi mormoravano che no, così non può durare, e si aggrappavano alla sostanza del potere: tutti hanno ansia di sapere se davvero Marina ha litigato con la Santanché, se sul serio Francesca Pascale ha messo alla porta Denis Verdini, se finalmente Tonino Angelucci mollerà i due falchi per rientrare all’interno del cerchio magico. E tutti parlano della Santanché che ha puntualizzato – sempre per sottolineare che solo lei non è una dipendente: «I sontuosi mobili della nuova sede di Forza Italia sono di mia proprietà» e per il suo Sallusti c’è già pronto un altro giornale. Come in tutte le decadenze si è capito che ormai comanda la famiglia (allargata).
Perciò il coro che tutti insieme hanno fatto ieri a Berlusconi, quel gridare come nei concerti, quello stare sull’attenti pestando i piedi non è il ballo del Titanic ma è il momento in cui ciascuno paga a peso d’oro il posto nella scialuppa di salvataggio che, comunque, colerà a picco con il Transatlantico. Battono le mani ma sono disperati.
Ovviamente, dal punto di vista della democrazia, che si regge sulla forma, con la sceneggiata di queste dimissioni i deputati e i senatori del Pdl non rispondono più agli elettori ma solo a Berlusconi che li legittima, sono servitori di un uomo e non di una politica e hanno definitivamente sepolto la funzione nobile del rappresentante di quella parte del Paese che si riconosceva in un progetto politico di centrodestra sia pure inficiato dal conflitto di interessi e dal porcellum elettorale.
Ma soprattutto il ricatto delle future dimissioni, contro il Senato che voterà a maggioranza la decadenza del condannato prevista dalla legge e dalla decenza, marchia per sempre come menzogna la famosa rivoluzione liberale. Questi infatti sono uomini delle istituzioni e non black bloc, sono gli stessi che esibivano la patente di moderati, che si autoproclamavano custodi dei valori liberali e persino dell’identità nazionale e dei principi sacri della cristianità, rispettosi delle leggi e delle tradizioni, ligi all’ordinamento giuridico. Ebbene ieri sera quando Berlusconi ha misurato il suo dolore evocando l’insonnia e la gastrite, quando ha gridato «non voglio essere fatto fuori dalla Storia», quando ha chiesto loro di farsi saltare in aria come in una parodia della Jihad, quando insomma ha recitato il proprio epicedio, i burattini inanimati hanno applaudito lui e hanno seppellito se stessi.


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