L’ira di Obama per la paralisi «Il default sarebbe la catastrofe»

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NEW YORK — In una giornata sconvolta dal drammatico inseguimento di un’auto che avrebbe tentato di forzare un posto di blocco nei pressi della Casa Bianca, è fuggita nel centro di Washington e ha finito la sua corsa nei pressi del Campidoglio dove c’è stata una sparatoria, l’allarme in America per il serio impatto economico dello «shutdown» del governo federale si è tramutato in un vero e proprio annuncio di catastrofe se, come appare ormai possibile, un protrarsi dello stallo tra democratici e repubblicani impedirà l’approvazione della norma necessaria per alzare il tetto del debito pubblico.
«Dalla farsa dello shutdown che ha comunque conseguenze gravi ma limitate, passeremmo al rischio di default, un evento mai verificatosi nella storia americana, con effetti potenzialmente catastrofici», ha scandito ieri Barack Obama che già da qualche giorno non cerca più di attutire la gravità della crisi col ricorso a un linguaggio prudente.
«Catastrofe», «farsa», «repubblicani sconsiderati», «destra che flirta col default»: la Casa Bianca non ha paura di spaventare i cittadini e i mercati che, infatti, ieri hanno reagito alla scossa data dalla Casa Bianca con un forte calo. In apertura la Borsa di New York ha subito perso 150 punti, circa l’uno per cento, recuperando solo marginalmente nel finale di seduta.
Quello che rischiano davvero gli americani lo ha spiegato con linguaggio insolitamente brutale il ministro del Tesoro, Jack Lew: «Potrebbe verificarsi una nuova gelata dei mercati creditizi, il valore del dollaro rischia di precipitare, i tassi d’interessi praticati negli Usa potrebbero impennarsi. Con conseguenze gravissime per l’economia americana che si trasferirebbero rapidamente al resto del mondo. Sprofonderemmo in una crisi finanziaria, seguita da una recessione, che potrebbe essere grave come la crisi iniziata nel 2008 (quella innescata col crollo della Lehman, ndr ) se non addirittura peggiore».
Ad alimentare l’allarme ci si è messo anche il managing director del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, che ha invitato i politici americani a superare le loro divisioni e a trovare un compromesso prima che la disputa in corso provochi danni irreparabili all’intera economia mondiale.
Una terapia-choc che sembra cominciare a dare qualche risultato. Anche se molti analisti politici vedono una situazione ancora bloccata dal timore di molti parlamentari repubblicani, di essere scavalcati a destra nei loro collegi da candidati più radicali di loro, c’è qualche primo segno di una reazione dei deputati più moderati nei confronti dell’ala estremista dei Tea Party che ha spinto i repubblicani in un vicolo cieco. Ieri, durante un pranzo a porte chiuse, il texano Ted Cruz, «pasdaran» della crociata contro la riforma sanitaria di Obama da bloccare, secondo lui, a qualunque costo, è stato messo sotto accusa da molti suoi compagni di partito.
E lo «speaker» della Camera John Boehner, il leader dei repubblicani al Congresso, accusato anche dal presidente di essersi piegato alle minacce dell’ala più estremista del suo partito, avrebbe detto ai suoi colleghi in Campidoglio che farà tutto quello che è necessario per evitare che gli Stati Uniti finiscano in default sul debito federale. Anche se questo significherà, in un ramo del Parlamento controllato dai repubblicani, dover fare ricorso ad alcuni voti democratici per compensare le defezioni della destra dei Tea Party.
Segnali di fumo per ora molto deboli, visti anche i vari casi in cui, in questi anni, Boehner si è rimangiato — o è stato costretto a rimangiarsi — le aperture fatte nei negoziati con la Casa Bianca. Stavolta Obama le trattative non le ha nemmeno aperte, considerando l’aumento del tetto un atto dovuto del Congresso per onorare le spese che lui stesso ha deliberato. E, dopo l’incontro di mercoledì sera coi leader della destra conclusosi senza alcun progresso, Obama ha rincarato la dose parlando di «repubblicani sconsiderati», mentre il suo portavoce Jay Carney ha accusato il partito conservatore di «continuare a flirtare con il default» come aveva già fatto nella crisi del 2011.
Massimo Gaggi


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