Barcone si rovescia in alto mare «Bambini tra i cinquanta morti»

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LAMPEDUSA (Agrigento) — Non è bastato piangere per i 328 cadaveri recuperati a Lampedusa nella sciagura della scorsa settimana. Perché ieri sera, mentre gli ultimi 11 corpi affioravano fra le braccia dei sommozzatori e mentre si faceva il bilancio di una drammatica giornata segnata dal salvataggio di altri 500 migranti in cinque diverse operazioni, nel cuore del Mediterraneo già buio, si consumava l’ennesima tragedia. Con un barcone che si rovesciava, ancora in acque maltesi, lasciando fluttuare fra le onde quasi 250 persone, molte di origine siriana. In gran parte salvate nella notte: 224. Ma con la rabbia dei soccorritori che hanno visto morire donne e molti bambini: in serata il bilancio era di una cinquantina di persone tra vittime e dispersi.
L’avvistamento avviene intorno alle 16. Un aereo maltese decollato da La Valletta per un volo di ricognizione ha intercettato l’imbarcazione. Poco dopo l’allarme: «Un barcone affonda, gente in mare». Individuato il punto esatto, una nave maltese ha subito fatto rotta verso i naufraghi e fino a notte sono stati i maltesi a coordinare le operazioni. Ma l’appello è stato immediatamente raccolto anche dalla Marina italiana che ha convogliato a 113 chilometri a Sud di Lampedusa il pattugliatore Lybra e la fregata Espero, mentre il pilota di un elicottero confermava la sciagura e dall’isola ancora segnata dall’ultima tragedia salpavano le motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. Anche un peschereccio ha prestato loro soccorso. Come aveva fatto l’aereo maltese, per fortuna, il primo elicottero e un altro alzatosi in volo dalla Lybra hanno lanciato in mare dei salvagente e un paio di zattere autogonfiabili. Tanti naufraghi sono riusciti così ad aggrapparsi, a farsi forza, a respirare. Una drammatica sequenza controllata a bassa quota da piloti impotenti davanti alla tragedia che, in attesa dei mezzi navali, si consumava sotto i loro occhi. Mamme che cercavano di salvare i bambini ed affondavano nell’abisso senza più riemergere. Tanti che provavano invano a reggersi l’un l’altro, ingoiando acqua, restando poi senza forze.
Appena arrivate, le navi e le motovedette hanno potuto trainare a bordo quanti avevano resistito sulle zattere, avvinghiati ai salvagente, ai legni del barcone. E dagli elicotteri con i verricelli hanno cominciato a tirare su i primi naufraghi. Compresi dieci bambini trasportati a tarda sera a Lampedusa, accolti dal calore di medici ed infermieri del poliambulatorio, riscaldati e rifocillati.
L’apprensione di un’intera isola si specchiava però nell’espressione corrucciata del sindaco Giusy Nicolini in costante contatto con il comandante della Capitaneria Giuseppe Cannarile, a tarda sera in collegamento radio con un ufficiale impegnato nelle operazioni in alto mare. «Mi ha detto che li stanno salvando quasi tutti. Ma è sul “quasi” che tremo perché non possiamo continuare ad accogliere morti e dobbiamo fermare questa carneficina», ripeteva il sindaco per tutto il giorno impegnata in continue riunioni per decidere cosa fare con le oltre trecento bare schierate nell’hangar dell’aeroporto.
È il dramma di una Lampedusa che si svuota di turisti, con il Centro accoglienza ancora col triplo degli ospiti rispetto alle 250 brande disponibili, in tensione ad ogni allarme. Come era accaduto con i cinque interventi scattati dalla mattina. Il primo per soccorrere due gommoni con 109 e 101 migranti raccolti dalla nave maltese Gaz Victory poi dirottata verso il porto di Trapani. Altri 118 profughi tratti in salvo dalla nave Atlantic Acanthus, delle isole Bahamas, dirottata verso Porto Empedocle. Infine due imbarcazioni con 65 e 110 persone soccorse dalla Lybra, la stessa ripartita per l’ultima operazione, e dal rimorchiatore Asso 30 che le ha prese a bordo alla volta di Siracusa. Nella notte un altro Sos: un gommone con cento migranti ha chiesto aiuto a 84 miglia a sud-est di Lampedusa.
È la nuova geografia della solidarietà. Con al centro l’isola dove il sindaco teme che nell’hangar bisognerà fare ancora tanto spazio alla pietà e all’orrore.
Felice Cavallaro


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