Letta in allarme: così non riusciamo a reggere

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ROMA — Nel governo e nel Pd ricompare la paura che il banco possa saltare. Nelle ultime ore il premier Enrico Letta è tornato alla carica con Alfano: «Se dai un segnale di rottura con i “falchi” del tuo partito, se prendi le distanze, eviti che Berlusconi sferri un ennesimo attacco al governo». I giorni tornano cupi. Il rinvio a giudizio del Cavaliere per la compravendita di senatori all’epoca di Prodi nel 2008, sommato alla sua decadenza imminente da parlamentare, stanno riportando le larghe intese sull’orlo di una crisi. Ma soprattutto è venuta meno quella polizza di salvaguardia che rappresentava per i “lealisti” del Pd la vera assicurazione sulla vita dell’esecutivo: la scissione del Pdl, i gruppi autonomi annunciati da Formigoni, Quagliariello, Giovanardi e benedetti dallo stesso Alfano il 2 ottobre, poco prima della fiducia bis.
I “governisti” dem ci contavano. Il segretario Epifani l’aveva posta come condizione per «non tornare nel pantano». Ma la tregua ieri tra Fitto e Alfano sembra un altro segnale che non si stia andando nella giusta direzione. Il timore in realtà è quello di una tenaglia, che si saldi cioè l’interesse di Matteo Renzi – una volta eletto segretario del partito nelle primarie dell’8 dicembre – con quello di un Berlusconi disperatamente all’angolo. Che la spallata quindi sia di nuovo concreta. Anche per questo a «Angelino», Letta avrebbe ricordato che per evitare mine da entrambi i fronti, avere chiarezza conviene: «Guarda che se rompi con Berlusconi, anche Renzi non ci farà cadere fino al semestre europeo», ha ragionato. Non ci sarebbero in pratica più alibi; non ci sarebbe più l’anti berlusconismo da sbandierare.
D’altra parte, l’imbarazzo dei Democratici per l’alleanza con Berlusconi è un fuoco che cova sotto la cenere. La sinistra del partito e i renziani, in insolita sintonia, esprimono tutto il fastidio di stare al governo con chi avrebbe comprato i voti in Parlamento per fare cadere Prodi. Per il premier Letta e per il ministro Franceschini è un ulteriore argomento di pressing, per sollecitare la rottura nel Pdl e la creazione dei gruppi autonomi. Quando Silvio Berlusconi è rientrato ieri a Roma accolto dalla notizia del rinvio a giudizio a Napoli, è sembrato di rivedere un film già conosciuto: gli sfoghi, la rabbia del Cavaliere e le minacce al governo. Letta non lo potrebbe permettere. Epifani e il Pd non sopporterebbero ancora. Alfano però non si sbilancia: «Aspettiamo la decadenza di Silvio», è stata la replica. «O si verifica il fatto politico dei gruppi autonomi, del Ppe come annunciato, o la caduta del governo è quasi matematica», è l’allarme di Beppe Fioroni, leader dei Popolari e anti renziano. Fioroni dice di essere «preoccupato perché siamo alla quiete prima della tempesta, ci sono falchi e serpenti uniti contro l’esecutivo e pronti a uno scioglimento subito dopo l’approvazione della legge di stabilità». Pessimista? Le sue argomentazioni le affiderà a una rubrica sulle pagine locali del Corriere fiorentino che per “provocare” il sindaco e candidato segretario si intitolerà “Vorrei votarti, però…”. Bersani, l’ex leader, al contrario alla frattura pidiellina non ha mai creduto. Quindi a chi gli chiede cosa si sarebbe aspettato e quali sono le trappole possibili, risponde scuotendo la testa: «La natura delle larghe intese è quella lì…».
Le fibrillazioni nel Pd sono un intreccio di molti fili: l’incognita-Pdl, la clausola di salvaguardia mancata, gli scontri sulla riforma del Porcellum, la spina dell’Antimafia. I renziani annunciano una loro proposta anti Porcellum, se non si muove qualcosa nel partito. Il fronte pro Gianni Cuperlo, lo sfidante di Renzi, si prepara a dare battaglia sulla legge di stabilità: «Ci vuole una correzione radicale, a saldi invariati», premette Matteo Orfini, a sua volta convinto che la creazione di gruppi autonomi per scomposizione del Pdl sarebbe più che opportuna. «Il rinvio a giudizio di Berlusconi per una cosa così odiosa – aggiunge Orfini – pesa, eccome. Però va detto che Berlusconi ormai è il portavoce della Santanché, marginale». Non è il solo ad avere fiducia nel processo di scomposizione pidiellina. Il ministro Andrea Orlando nei giorni scorsi diceva che i fatti politici sono inequivocabili e che l’egemonia di Alfano nel partito è salda. Ma la partita è sempre aperta.


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