Alfano e quel «no» che stupì Silvio

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Alfano ha pensatoche, declinando la sua offerta, Berlusconi capisse quanto tienealla sua richiesta.
Ed è così che l’altra sera, dicendo no alla vicepresidenza di Forza Italia ha detto sì all’unità del partito, a cui il Cavaliere tiene in questa fase sopra ogni cosa. «Presidente, non chiedo nulla per me», l’ha interrotto subito Angelino: «Sgombriamo il campo da questo falso problema». Sono tanti i motivi per cui il vicepremier si è deciso al passo che ha meravigliato l’interlocutore. Un po’ perché non voleva e non vuole che la proposta sembri un ricatto (da parte sua) o un regalo (da parte di Berlusconi), un po’ perché «è un modo per agevolare la mediazione nel partito» del Cavaliere, «togliendo ogni pretesto che possa creare elementi di disturbo», e un po’ perché la proposta — inserita così nel negoziato — snatura quel rapporto a cui Alfano continua a tenere. Angelino aspetta che Berlusconi «senta» di fare ciò che l’altra sera prometteva di fare.
Ecco l’elemento psicologico che affiora, in una discussione durante la quale il vicepremier non ha fatto concessioni per rappresentare al Cavaliere la propria lealtà, a suo dire diversa da quella del capo dei lealisti, Fitto, «che lei deve aver eletto a portavoce, visto che ha annunciato le sue scelte di convocare l’ufficio di presidenza e di anticipare il Consiglio nazionale». E ieri Berlusconi — ricevendo la Gelmini e la Carfagna — ha convenuto che «Angelino non ha torto». Che sia stata una botta di gelosia o una reazione politica, poco importa, ciò che Alfano ha chiesto è che nella futura Forza Italia sia garantita la «tutela» delle aree che la comporranno e la chiarezza sulla linea da seguire.
Sebbene l’incontro sia stato interlocutorio, sebbene si siano ripromessi di vedersi la prossima settimana, il vicepremier deve aver ricevuto rassicurazioni se ieri si diceva «fiducioso in un esito positivo», anche per aver sentito il Cavaliere parlare «per la prima volta» dell’esecutivo con toni che prefigurano «un orizzonte più ampio»: «D’altronde non è pensabile che la stabilità del governo venga tradita un mese dopo essere stata confermata. D’altronde la linea di Berlusconi è stata sempre quella di tenere separate — con indignazione e talvolta con legittimo disprezzo — le sue vicende personali dalle vicende politiche».
E non c’è dubbio che Alfano sia schierato a difesa di Berlusconi nella sfida della decadenza, ma chiede che «la linea sulle larghe intese, linea vincente voluta dal presidente, sia confermata dal partito». Invece il documento votato dall’ufficio politico del Pdl contiene una «sfumatura non chiara», laddove prima si parla del confronto — «necessario» — sulla finanziaria «e un paragrafo dopo si considera un eventuale voto negativo verso Berlusconi sulla decadenza una cosa “inaccettabile”, prefigurando così scenari di crisi». È vero, la stabilità non è un valore in sé, è vero «il Paese può amare o meno un esecutivo di larghe intese, ma di sicuro non ama l’horror vacui della crisi».
È questo il caposaldo di chi rappresenta l’area degli «innovatori», «una classe dirigente che — volendo riaffermare la linea moderata di Berlusconi — in questa fase di inevitabile contesa nel partito si è forgiata. E in questi giorni di tempesta, nonostante sia stata sottoposta a operazioni di terrorismo mediatico, non si è fatta intimidire ma si è rafforzata». Questa area «va tutelata» al pari delle altre, attraverso meccanismi statutari che devono essere introdotti nella futura Forza Italia. Alfano ha proposto a Berlusconi di inserire due coordinatori con compiti e funzioni nella definizione delle liste elettorali. Non è stata la richiesta di una minoranza, gli innovatori si considerano «maggioranza nel partito», dunque nel Consiglio nazionale, e sostengono di aver superato «quota trenta» al Senato.
Su questo punto il vicepremier ha esortato il Cavaliere a fare attenzione ai numeri, perché chi ha fatto di conto in sua vece si è già sbagliato altre volte «mettendola a repentaglio, presidente». Non voleva essere una dimostrazione di muscoli, quella di Alfano, nè un modo per forzare il suo interlocutore, la prova è stata in quel suo declinare «l’offerta personale» per accogliere «la richiesta politica» dell’unità sotto il vincolo della chiarezza.
Le prove che attendono il governo non sono facili, Alfano è «preoccupato» per le tensioni che si stanno creando sul caso in cui è stato coinvolto il Guardasigilli, e intanto aspetta la decisione di Berlusconi, convinto anche che «si vada ristabilendo» quel rapporto messo alla prova nell’ultimo mese. Ma non c’è scarto, non c’è idea di scissione in Angelino: «Nessuno osi separare ciò che venti anni di militanza hanno unito». È un messaggio ai lealisti che gli danno del «traditore», così come a quegli «innovatori» che meditavano il divorzio. Ma è anche, anzi soprattutto, un segnale a Enrico Letta…
Francesco Verderami


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ROMA — Per uno strano scherzo del destino la sua lettera al Corriere della Sera ha coinciso col giorno della condanna di Silvio Berlusconi nel processo Ruby. E il fatto che abbia auspicato, seppur senza citarlo, anche l’addio alla politica dello «sconfitto dei due confronti diretti», ovviamente ha aumentato l’antipatia nei suoi confronti dei berlusconiani ortodossi.

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