Un decreto per rivalutare Bankitalia Dalle banche metà della rata Imu

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ROMA – La cosa certa è l’intento comune — di governo, Banca d’Italia e banche partecipanti al suo capitale — di definire la cosa il prima possibile. Dal riassetto proprietario della Banca d’Italia, infatti, tutti e tre i protagonisti hanno da guadagnare: le banche una rivalutazione delle proprie quote in grado di rafforzare i rispettivi patrimoni; il governo un gettito straordinario, grazie alla tassazione delle relative plusvalenze, prezioso per alleviare il peso del fisco sui contribuenti; l’istituto di via Nazionale l’opportunità di mettere una volta per tutte la parola fine ad annose discussioni. C’è da vedere però se — e di quanto — i tempi potranno essere accelerati.
Annunciando in Parlamento i risultati dell’autovalutazione fatta dagli esperti chiamati dal governatore Ignazio Visco — un range tra 5 e 7 miliardi — Saccomanni ha spiegato che per fare la riforma — necessaria a cancellare fra l’altro le norme mai applicate della legge sul risparmio — occorrerà una legge. Ma si è guardato bene dal parlare di disegno di legge, conservandosi la possibilità di esaminare l’ipotesi di ricorrere ad una decretazione d’urgenza.
Un decreto dunque per fare in fretta. Magari tanto in fretta da bruciare il traguardo di fine anno e risolvere così i problemi ancora aperti, primo fra tutti quello sul pagamento della seconda rata dell’Imu: sospenderla costa circa 2,4 miliardi di euro che non ci sono in cassa. L’imposta sulle plusvalenze delle rivalutazioni, ipotizzando l’aliquota del 16% in vigore per le imprese, darebbe un gettito pari circa alla metà del necessario. E le stesse banche non si tirerebbero indietro dall’anticipare il versamento se potessero fare l’operazione a valere sul bilancio 2013. Quello che sarà valido ai fini della valutazione della Bce e degli stressi test dell’autunno 2014.
Il se però è d’obbligo, non sarà facile velocizzare così tanto il provvedimento anche se c’è chi arriva ad ipotizzare un anticipo della parte relativa alla rivalutazione e ai versamenti di imposta, magari con un emendamento alla legge di Stabilità, rispetto alla definizione normativa del riassetto che richiederà fra l’altro la riforma dello statuto della Banca d’Italia ed anche il nulla osta della Bce. Più semplice immaginare un varo della riforma all’inizio del prossimo anno, comunque in tempo affinché le banche possano inserire la rivalutazione delle quote in Bankitalia in chiusura del bilancio 2013.
Già perché gli istituti di credito sono fra i primi a spingere sulla rivalutazione: dovranno versare più tasse ma potranno, ognuno per la propria quota, rivalutare una voce messa in bilancio a cifre irrisorie e rafforzare, con un semplice cambiamento di numeri, il capitale. E ciò in vista dell’esame della Bce e dell’entrata in vigore dei severi paramenti di adeguatezza del capitale di Basilea 3. Avrebbero voluto una valutazione più alta di quella proposta da Bankitalia (ora chiedono che sia applicato perlomeno il massimo della forchetta indicata), ma il loro pressing non ha avuto successo. Del resto la commissione chiamata a studiare la questione — i tre superesperti Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi — ha fatto un lavoro tecnico di grande precisione. Partendo da una considerazione, consolidata a Palazzo Koch: gli attuali possessori delle quote di capitale della Banca non possono essere considerati come normali azionisti, perché non hanno e non hanno avuto mai alcun titolo per intervenire nella gestione della Banca. È stato questo anche il leitmotiv utilizzato per respingere le periodiche accuse di conflitto di interesse tra controllori e controllati. Ed è questa la ragione per cui il capitale sociale non supera i 7 miliardi.
L’interrogativo a cui i saggi incaricati da Visco hanno dato risposta non è infatti quanto vale la Banca d’Italia, ma solo quanto valgono le quote. Di quanto cioè queste si sono rivalutate dal 1936, quando sono state assegnate, ad oggi al netto del signoraggio o in altre parole dei redditi relativi all’attività di politica monetaria, come istituto di emissione prima e di banca aderente al sistema europeo di banche centrali poi.
Da qui la distanza per esempio con le proteste e le richieste del capo dei deputati del Pdl Renato Brunetta che ha suggerito un valore per Bankitalia dai 22 ai 25 miliardi che rappresenta il totale degli attivi e che pone la nostra banca centrale in vetta, quanto a solidità, delle europee. Che hanno tutte comunque già fatto rivalutazioni in tutto o in parte. Con i suoi simbolici 156 mila euro di capitale diviso in 300 mila quote da 0,52 euro ciascuna, che vede Intesa San Paolo primo azionista con 91.035 quote seguita da Unicredit (66.342 quote), Bankitalia è decisamente il fanalino di coda in una lista in cui la Banca centrale francese presenta un capitale sociale di 2,9 miliardi di euro, la Bundesbank 2,5 miliardi di euro e la Banca centrale britannica 14,5 milioni di sterline.
Stefania Tamburello


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