La minaccia dei dossier

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 IL CAVALIERE ai suoi lo dice chiaro che ormai non ha più niente da perdere, scontato l’esito del voto, la sua espulsione dal Senato. Ormai compromesso, archiviato, il rapporto con il Quirinale. L’affondo dal palco — dopo i tanti consumati in questi mesi nel chiuso di Arcore e Palazzo Grazioli — è la mossa della disperazione. «Non si aspetta certo che Napolitano, rimasto inerte dal primo agosto, faccia qualcosa alla vigilia della decadenza» spiega uno dei parlamentari venuto ad applaudirlo tra i giovani di Annagrazia Calabria. Al Colle, l’accoglienza della sortita dell’ex premier è a dir poco gelida. Nelle stanze del Quirinale fanno notare come il provvedimento di clemenza — la grazia mai nominata esplicitamente dal Cavaliere — per essere esaminata, prima ancora che concessa, deve essere richiesta. Proprio quel passaggio che Berlusconi si è sempre rifiutato di consumare, «per dignità». Ma è quello e solo quello il presupposto fondamentale per l’avvio di qualsiasi iter. Non esiste, insomma, la grazia in versione motu proprio,
da lui sognata. Il presidente Napolitano lo aveva già sottolineato fin dalla nota del 13 agosto. Per non aggiungere il fatto che per il capo dello Stato sarebbe impensabile interferire con l’imminente voto parlamentare sulla decadenza.
Ma alla sua espulsione dal Senato il leader di Forza Italia non si rassegna, lo dice dal palco come subito dopo ai pochi dirigenti del partito venuti a salutarlo. C’è rabbia e nessuna rassegnazione. Berlusconi guarda oltre, si sente ancora «in campo» sebbene decaduto, minaccia «armi segrete» contro Renzi, come se potesse davvero sfidarlo in campagna elettorale. E l’arma sembra non sia una delle figlie da schierare contro. «Una ricerca sul sindaco il presidente l’ha fatta fare, non sappiamo cosa abbia ricavato» racconta uno dei deputati più vicini al leader. E «qualcosa» sembra sia stata consegnata nelle sue mani da collaboratori fidati. Nel centrosinistra il sospetto diffuso è che la «macchina del fango» si sia già messa in moto contro il segretario ancora prima dell’insediamento. Il Cavaliere sogna di giocarsela domenica 8 dicembre quando, in concomitanza con le primarie pd del trionfo renziano, lui terrà a battesimo a Milano i club Forza Silvio. Ma prima di allora c’è la «cacciata» dal Senato da consumare, con annessa uscita dalla maggioranza.
La Polverini e Gasparri, la Bergamini e la Ronzulli, Giro e la Rizzoli, Maria Rosaria Rossi col figlio, sono tutti lì per applaudire, incoraggiare il “presidente” dopo l’ora e passa di intervento in maglioncino blu sotto giacca in tinta. Francesca Pascale è sempre al fianco del fidanzato. La sensazione che hanno è che l’ex premier sia già in formato campagna elettorale. Che quello di ieri sia stato il primo comizio del nuovo battage, nella speranza di un voto ravvicinato. L’abbraccio col pupillo di un tempo, Gianfranco Micciché, al mattino a Palazzo Grazioli, la confluenza del Grande Sud in Forza Italia, va in quella direzione. Acerrimo nemico di
Alfano, il sottosegretario ritornato a casa. Non a caso solo ora. Il Cavaliere resta a Roma questa domenica, niente Arcore, il momento è cruciale. Domani riunisce i gruppi parlamentari per decidere sul ritiro del sostegno al governo, si vota contro la manovra. I senatori si stanno già astenendo in commissione, del resto. «Non resteremo un minuto di più con i carnefici» va ripetendo a tutti. Dal palco Berlusconi ripete a più riprese «questo governo», a rimarcare un distacco ormai abissale. Come distante sente l’ex delfino Alfano. Nel dopo-comizio, su di lui e la manifestazione mattutina del Nuovo centrodestra si lascia andare. «Avete sentito? Si definiscono nuovi, ma Angelino parla già come un vecchio politico. E ci ha pure rubato l’idea dei circoli». I due si sentono (raccontano sia il vicepremier a chiamare ancora con cadenza quotidiana) ma per il Cavaliere è già acqua passata.
A ridosso dell’assemblea coi parlamentari, Berlusconi terrà anche la conferenza stampa già annunciata ieri dalla kermesse, quella sulle carte americane relative ad Agrama e alla condanna sui diritti tv. Il famoso “asso nella manica” di cui si vanta da giorni per capovolgere la sentenza. Ne parlerà anche in aula mercoledì, nella sua “arringa” difensiva. Mentre fuori da Palazzo Madama, nello stesso pomeriggio, Denis Verdini chiama a raccolta con una lettera (qui in basso) tutti i dirigenti e i parlamentari forzisti. Appuntamento davanti Palazzo Grazioli, ma non viene escluso che — pur se l’autorizzazione prefettizia è limitata a via del Plebiscito — il corteo poi possa muovere verso il Senato, nel momento clou e drammatico del discorso del leader e del voto. Ormai è un Cavaliere disposto a tutto, «non pensino che non reagiremo al colpo di Stato».


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