Le urne del cambiamento

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La socialista Michelle Bachelet superfavorita potrebbe farcela al primo turno sulla conservatrice Evelyn Matthei Urne aperte oggi in Cile per eleggere i 120 deputati della Camera bassa del Congresso nazionale, 20 dei 38 senatori, i rappresentanti delle regioni e per scegliere il presidente della repubblica. La presidente, in questo caso. Le più gettonate dai sondaggi risultano infatti due donne, Michelle Bachelet, che corre per la coalizione di centrosinistra Nueva Mayoria, e la conservatrice Evelyn Matthei, appoggiata dallo schieramento di centrodestra Alianza, e sostenuta dal presidente a fine mandato, Sebastian Piñera. Bachelet, ex prigioniera politica di 62 anni, è la gran favorita, con il 47% delle intenzioni di voto contro il 14% della sua più diretta avversaria. Potrebbe farcela al primo turno, e totalizzare quel 50% più uno che basta per non andare a un nuovo voto, il 15 dicembre. Gli altri sette candidati non dovrebbero impensierire le prime due. L’ex presidente socialista, che ha governato dal 2006 al 2010 prima di trasferirsi all’Onu per le questioni di genere, promette di interpretare (e questa volta meglio della precedente) il vento di cambiamento che anima il Cile a quarant’anni dal golpe militare di Augusto Pinochet. Cinque anni fa, quando ha terminato il suo mandato, Bachelet – la prima donna presidente del Cile – contava sul più alto indice di popolarità di qualunque altro politico nella storia del paese (oltre l’85%). E solo la costituzione che vieta ai presidenti di essere rieletti per due mandati consecutivi le ha impedito di ripresentarsi. Ora, nel suo programma, Bachelet ha promesso di ridurre le disuguaglianze sociali facendo pagare qualcosa anche alle grandi imprese, senza controllo dai tempi di Pinochet. In questo modo si potrebbero finanziare riforme e servizi pubblici, come hanno chiesto a gran voce i movimenti studenteschi e sindacali, scesi in piazza negli ultimi anni. Ma per smuovere un quadro politico ancora ingabbiato nell’architrave imposto dalla dittatura militare, occorre una nuova costituzione: e un’Assemblea costituente che chiami in causa la partecipazione popolare, secondo la sinistra più radicale che auspica un cambiamento simile a quello in corso nella parte socialista dell’America latina. Ma quelli sono paesi in cui mancava «una legittimità», secondo Bachelet: che non è entrata troppo nei dettagli per non scontentare le aree che la sostengono e che questa volta le chiedono maggior rispetto delle promesse. Vincere al primo turno o al secondo, non sarà perciò lo scoglio più duro da superare per Bachelet. Dall’attuale quadro istituzionale, che non per niente ha portato l’elettorato a un’elevata disaffezione (il 60% circa si astiene dall’andare a votare), non possono venire fuori cambiamenti di sostanza. Il sistema binominale voluto da Pinochet nel 1980, che obbliga i partiti politici a formare coalizioni di centrodestra e centrosinistra, distorce e paralizza la dinamica parlamentare. E se il nuovo governo Bachelet non ottiene una maggioranza ampia, finirà nel solito pantano. Per realizzare la riforma politica, quella istituzionale e quella dell’istruzione, Bachelet dovrà contare sui due terzi del Congresso e del Senato. Altrimenti, la palla resterà nel campo della destra. Bachelet ha già detto agli elettori di non aspettarsi miracoli: «La gente capisce che i governi non possono realizzare risultati importanti in due giorni», ha dichiarato. D’altro canto, come hanno dimostrato i dibattiti e le polemiche per il quarantennale dal golpe dell’11 settembre ’73, la società cilena è ancora fortemente permeata dall’eredità, dai silenzi, dalle complicità e dalle rimozioni della passata dittatura. Per questo, Bachelet ha bisogno del sostegno dei movimenti studenteschi – che portano alle urne diversi leader emersi dalle proteste – e del Partito comunista, il quale ha saputo capitalizzare la presenza politica nelle manifestazioni. Nelle file del Pcc si presenta la popolare leader degli studenti Camila Vallejo, che ha ottime probabilità di essere eletta. Vallejo ha conservato un suo profilo politico molto più radicale rispetto a quello di Bachelet. Ha appoggiato apertamente le esperienze socialiste latinoamericane come quella venezuelana e anche le rivendicazioni del popolo mapuche, che lottano per riappropriarsi delle loro terre ancestrali. I mapuche, che rimproverano a Bachelet di non aver fermato la furia dei carabineros nella sua precedente gestione, l’hanno di recente contestata quando ha tenuto un comizio nella loro regione storica, l’Auracania. Bachelet ha incassato col solito piglio deciso e accattivante, ha ribadito che «non si lascerà intimidire dai violenti», ma è tornata a promettere «un paese più equo, senza esclusioni o discriminazioni».


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