Ma Renzi pensa che il premier punti a un futuro in Europa

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Guglielmo Epifani ricorda che nella lotta prossima ventura per la premiership del centrosinistra ci sarà anche Enrico Letta? I siti dedicano a questa affermazione del segretario del Pd rilasciata a Maria Latella in un’intervista per Sky titoli su titoli. Renzi quasi si sorprende. Non perché gliene importi nulla, a dire il vero. «Ha detto — spiega rilassato ai suoi — che il leader del partito è il candidato alla presidenza del Consiglio, ma che se altri vorranno fare le primarie ben vengano. Mi sembra più che ragionevole, è accaduto lo stesso per me, quando ci sono state le primarie con Bersani. E anche io all’Assemblea nazionale di Roma ero pronto a votare la cancellazione dell’automatismo tra segretario e candidato premier, quindi, dov’è il problema? Se qualcuno vuole fare le primarie contro di me, si può fare avanti…Prego, chiunque si può accomodare, non esistono veti per nessuno».
In realtà Renzi non crede affatto che Letta stia pensando di scendere in campo contro di lui. Piuttosto pensa che l’attuale inquilino di Palazzo Chigi si stia preparando una strada in Europa e che quello sia il futuro che sta delineando per sé. Vuole fare il commissario Ue, dicono in molti, nel Pd, come nel Pdl. E anche altrove. Per esempio, Guido Crosetto, di Fdi, che assicura di sentire il premier con una «frequenza regolare», è pronto a scommettere che «non scenderà mai in campo alle primarie contro Renzi», ma che sta «alacremente e coerentemente lavorando da tempo per un posto importante alla Commissione europea».
Quali che siano le ambizioni di Letta quelle del sindaco di Firenze sono palesi. Il futuro segretario del Pd segue un modello ben preciso, mutuato dal «Labour» e dal Partito democratico di rito clintoniano, un modello, che, quindi, ha come obiettivo finale il governo del Paese. E che riassume in sé uno strano (per l’Italia) mix di politica liberale in economia e di populismo. Il che significa che, da una parte, attaccherà i privilegi dei sindacati, e della Cgil, in special modo, che difende solo i garantiti, mentre dall’altra attaccherà duramente i poteri forti, i banchieri, la Confindustria e un certo tipo di capitalismo, senza fare troppi sconti.
«Sarà difficile dipingermi come un moderato», se la ride Renzi, quando vede che il sindacato di Susanna Camusso parte lancia in resta contro di lui perché contesta la sua politica e la sua poca lungimiranza. Quando il sindaco di Firenze dice, ridice e ripete fino alla nausea che gli operai, i disoccupati, i precari e i giovani non sono attirati dal Pd, il suo non è solo un atto d’accusa al partito così com’è, ma anche al sindacato, perché entrambi, partito e Cgil, «sembrano tutelare solo le fasce già tutelate». Ed è per questa ragione, secondo il primo cittadino di Firenze, che poi scelgono di votare per Beppe Grillo, per la Lega, o preferiscono astenersi. «È una riflessione che dobbiamo assolutamente fare, senza tirarci indietro», è il suo motto.
E siccome Renzi è Renzi e di tabù ne ha assai pochi non si ferma nemmeno di fronte alla polemica sulla «trasparenza dei bilanci dei sindacati». Anzi, ha voluto mettere questo tema nero su bianco nella sua mozione congressuale. In cui non ha inserito un altra questione su cui ha posto la sua attenzione: ossia quella del prelievo automatico nella busta paga dei lavoratori della quota di adesione per i sindacati.
C’è stato un referendum dei radicali, tanti anni fa. Oscurato. Ma la novità, è che Renzi non si ferma qui. Il sindaco di Firenze è convinto che vi sia «una crisi della rappresentanza» che riguarda tutte le organizzazioni, anche quelle degli imprenditori. Cioè, pure Confindustria. Anche tante imprese non sono soddisfatte di come si muovono le organizzazioni che le rappresentano e anche di questi soggetti Renzi intende farsi interprete. Sono gli sprechi dei sindacati, ma anche quelli di Confindustria o dei banchieri l’obiettivo di Renzi. Sono i «Piccoli» di cui Renzi vuole farsi rappresentante.
È una pesca a strascico che il sindaco intende fare, perché sente «montare l’indignazione ormai dovunque». E infatti la sua presa di posizione nei confronti di Annamaria Cancellieri non riguarda solo l’opportunità delle dimissioni del ministro ma anche le irregolarità della Fonsai: di fronte a buchi contabili incredibili, gli stipendi dei super manager e della famiglia Ligresti continuavano a scorrere, è l’accusa del sindaco. Difficile definire moderato un personaggio così, difficile catalogarlo in una categoria, anche per quella Cgil, che non gli piace e a cui non piace.
Maria Teresa Meli


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