Ocse: in Italia ripresa fiacca nel 2014

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ROMA — Una ripresa che si prospetta sempre più lenta e più debole. L’Ocse ha tagliato nuovamente la stima per il Pil italiano di quest’anno, da meno 1,8 a meno 1,9%, rivedendo però al rialzo quella del 2014, da più 0,5 a più 0,6%. Una previsione che, per quanto leggermente più ottimistica della precedente, rimane però molto lontana dall’1,1% annunciato recentemente dal ministro dell’Economia Saccomanni per l’anno nuovo. D’altra parte i dati pubblicati ieri lasciano poco spazio all’ottimismo: se l’Economic Outlook dell’Ocse sottolinea come l’Italia rimanga l’ultimo Paese del G7 ancora in recessione, l’Anfia (l’Associazione italiana delle imprese automobilistiche) rileva che l’Italia è l’unico tra i 5 maggiori mercati dell’auto europei a riportare un segno negativo nelle immatricolazioni di ottobre (meno 5,6%, contro una crescita media del 4,6% registrato nei 27 Paesi Ue più Efta). Vistosi segni meno anche dal fatturato dell’industria: meno 1% a settembre sullo stesso mese dell’anno precedente, un modestissimo +0,1% su agosto. Mentre gli ordinativi crescono dell’1,6% su mese e del 7,3% su anno, ma solo grazie all’estero.
Tra l’altro quando la ripresa arriverà non solo sarà modesta, ma anche circoscritta. Nessun effetto sulla disoccupazione, anzi si passerà dal 12,1% del 2013 al 12,4% nel 2014. L’allarme maggiore lanciato dall’Ocse è però sul debito pubblico, che dal 132,7% di quest’anno dovrebbe salire al 133,2% l’anno prossimo. Pur mostrando apprezzamento per le misure del governo, l’organizzazione suggerisce che «per assicurare un rapido declino del debito potrebbe essere necessario un programma un po’ più ambizioso ». Si tratta, chiarisce il capo economista Carlo Padoan, di «trovare risorse per tagliare le tasse dove la riduzione è più efficace, sul lavoro; e per farlo occorre tagliare le spese con una spending review», concentrandosi non tanto sulla riduzione in sé ma sull’efficienza. Tagliare le tasse del resto appare più che mai necessario anche alla luce del rapporto “Paying Taxes 2014” della Banca Mondiale: l’Italia scivola dal precedente 131esimo al 138esimo posto su 189 Paesi per il carico fiscale (pari al 65,8% dei profitti contro una media Ue e Efta al 41,1%) e per l’enorme mole degli adempimenti burocratici che gravano sulle imprese.
Al moderato ottimismo dell’Ocse si contrappone l’amaro disincanto degli italiani che emerge da una rilevazione Censis-Club dell’Economia presentata ieri all’Abi. Secondo il 40% degli intervistati l’Italia «conviene per la buona cucina, per trascorrere le vacanze e per divertirsi». Guai però a voler studiare, investire o addirittura lavorare: si va incontro ad amare delusioni. Tranne che non si sia, nell’ordine, un politico, un sindacalista, o un rappresentante della finanza globale. Nessuna convenienza a vivere in Italia invece per laureati, disoccupati, precari, e giovani. Un “leisure country” senza nessuna speranza: il 49,3% non vede alcuna prospettiva. E il 50,7% che spera nella ripresa e in un futuro per l’Italia è raggruppato in due fasce d’età ben distinte: i giovani, combattivi per ragioni anagrafiche, e gli ultrasessantacinquenni, che forse confidano in un futuro garantito grazie ai diritti acquisiti. Le fasce di mezzo non hanno dubbi: non riusciremo a risalire la china.


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