IL VOLO DELLO YUAN

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Per quanto non abbia particolare immediata rilevanza economica in sé, la crescita di importanza dello yuan è naturalmente un simbolo dello spostamento di baricentro della produzione e degli scambi nel mondo, uno dei grandi trend economici di questo periodo che ha ovvie ed importanti ramificazioni sul futuro dell’economia globale. In particolare la redistribuzione della produzione per settori nel mondo, chiamarla globalizzazione è riduttivo, favorisce quelle economie che risultano più pronte ad un rapido adattamento e a una efficace riconversione industriale e nei servizi. Adattamento e riconversione sono fenomeni complessi che comportano costi sociali rilevanti, che molte economie sviluppate stanno sperimentando ormai da anni (ben prima della crisi). Per affrontarli in modo rapido ed efficace sono necessari mercati finanziari ben funzionanti e sistemi di protezione dei lavoratori in un contesto di flessibilità del mercato del lavoro. Nel medio-lungo termine, su questo si giocherà la competizione tra Stati Uniti, area euro, e Giappone. Il fatto che solo la Germania tra i Paesi occidentali appaia come uno dei maggiori utilizzatori dello yuan (gli altri sono, abbastanza naturalmente, Hong Kong, Singapore, e Australia) è probabilmente segno che essa ha maggiore coscienza rispetto agli altri Paesi europei di questi fenomeni, e di quanto transazioni in yuan aggiungano alla attrattività e competitività di beni e servizi venduti in Cina.
Al di là della simbologia e del lungo periodo, il recente accresciuto utilizzo dello yuan negli scambi finanziari è dovuto in larga parte al fatto che la banca centrale della Repubblica Popolare Cinese ha deciso di limitare lo stretto controllo che tendenzialmente teneva sul tasso di cambio e sul tasso di interesse associato ad operazioni di indebitamento in yuan. Il governatore della banca centrale ha dichiarato esplicitamente il 20 novembre scorso che non è più interesse della banca accrescere le proprie riserve valutarie in dollaro, euro e yen. In realtà è ormai tempo che lo yuan si apprezza sul dollaro: circa il 2,3% lo scorso anno. La tendenza a lasciare la determinazione del cambio dello yuan al mercato, se mantenuta dalle autorità cinesi, avrebbe implicazioni importanti per l’economia globale. Essa comporterebbe da un lato un rallentamento di quella componente della crescita dell’economia cinese drogata dalla esportazioni che ha finito per danneggiare l’economia cinese stessa distorcendone struttura e composizione. D’altro canto, essa porterebbe ad una maggiore rilevanza del sistema finanziario cinese, forse anche inducendolo a una maggior efficienza ed indipendenza dalla politica, di cui esso fortemente abbisogna.
I recenti accordi tra Cina e Regno Unito per avviare meccanismi di scambio diretto tra lo yuan e la sterlina, così come gli accordi tra la banca centrale cinese e la Bce per una linea bilaterale di currency swap (e i simili accordi che le autorità cinesi hanno concordato con Singapore e precedentemente con l’Australia) vanno tutti nella stessa direzione, quella di stabilire lo yuan come una delle monete rilevanti negli scambi finanziari e commerciali globali, accettando di conseguenza maggiore trasparenza ed indipendenza dei mercati finanziari cinesi.
Non solo simbologia quindi, ma anche una rilevante transizione verso mercati finanziari globali più efficienti e trasparenti. Un cambiamento essenzialmente positivo non solo per la Cina (gli Stati Uniti lo richiedevano da anni ormai), a saperne approfittare.


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