Urla, fischi, spinte: la fiamma di An a Fratelli d’Italia

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Lo hanno deciso i membri della Fondazione An, creata per preservare beni e identità quando il partito si fuse con Forza Italia nel Popolo della libertà. La fondazione ha circa 1.200 soci, ieri all’Hotel Ergife ce n’erano 627, la mozione finale è stata votata da 290, quelli che oggi sono Fratelli d’Italia. Gli altri erano divisi in due gruppi. Uno formato dall’ex finiano Menia, in rappresentanza di Fini — assente — e da Storace, pure assente perché non fa parte della Fondazione: volevano il simbolo di An per loro, da usare senza altri nomi accanto. Il secondo gruppo formato da Gasparri, Matteoli e altri fedeli a Berlusconi: volevano che nessun potesse usare il simbolo per elezioni politiche.
Poco prima del voto serale questi due gruppi hanno ritirato le loro mozioni, sperando probabilmente di far mancare il numero legale. L’esito è stato diverso e adesso sia Menia sia Gasparri giurano che non finisce qui. Gasparri: «Votazione illegittima. La Fondazione non può decidere l’utilizzo del simbolo». Menia: «Umiliante per la storia di An, che superò nel ‘96 il 15 per cento, finire in un piccolo partito con meno del 2 per cento». «Sceneggiata senza vergogna», proclama Storace. I ricorsi in tribunale sono garantiti. Per Fratelli d’Italia il danno non è grave, dato che non tutti sono propensi ad affiancare al nuovo il vecchio simbolo, importante era che non lo usassero altri.
Al momento del voto la tensione fra chi ha militato per anni nelle stesse formazioni è salita. L’ex finiano Digilio ha ricordato a Giorgia Meloni: «Sei diventata vicepresidente della Camera solo grazie a Fini». «Traditori!», è partito dalla platea. «Traditori voi!». Poi, questione sulle modalità di voto. Menia ha gridato a La Russa: «Chi credi di essere?». Per evitare scontri fisici, si è deciso il voto uno per uno, con ritiro del cartellino di presenza. In mattinata c’erano stati altri momenti caldi. Il consigliere regionale campano Diodato s’era avvicinato al presidente della fondazione Mugnai, chiedendo di votare pregiudiziali alle mozioni. Era stato spinto da dietro, era caduto e da lì s’era originata una rapida rissa.
Nei giorni scorsi si era tentato di evitare che la diaspora della destra proseguisse. Menia-Storace con la mediazione di Alemanno avevano offerto a Giorgia Meloni di guidare un partito (quasi) riunificato con il nome An, rinunciando alla creatura Fratelli d’Italia. Risposta negativa, soprattutto da parte di La Russa. Ora la Meloni, «conquistato» il simbolo, ha annunciato che ci saranno le primarie per decidere come sarà l’emblema del partito per le Europee e primarie anche per la presidenza. Meloni stessa ha lanciato un appello per una riunione delle forze in campo a destra, liberali, riformisti, fino a Storace. Ma il problema resta lo stesso: gli altri non vogliono riunificarsi sotto l’insegna Fratelli d’Italia, sia pur affiancata dal simbolo An. Dentro Fratelli d’Italia, peraltro, deve ancora consumarsi il passaggio generazionale e Meloni, che è il volto più nuovo, ha per ora sempre al fianco La Russa.
Sullo sfondo, ieri, è rimasta la questione dei beni della Fondazione. Centoquattro immobili (molte ex sedi, ma c’era anche la famosa «casa di Montecarlo»), più liquidi provenienti soprattutto da rimborsi elettorali, per un valore totale calcolato in 300 milioni. Ci sono cause (penale e civile) promosse dalla ex segretaria di Fini, Rita Marino e dagli ex deputati Buonfiglio e Raisi, in particolare sull’utilizzo di 26 milioni, che avrebbero coperto spese del Pdl, mentre lo scopo della Fondazione dovrebbe essere soprattutto culturale. «Noi oggi non abbiamo chiesto un solo euro dei fondi della Fondazione», ripeteva ieri La Russa.
Andrea Garibaldi


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