Letta vede Renzi. E chiede un sì in Aula all’intesa

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ROMA — A sorpresa, di prima mattina, lontano dai riflettori, Letta e Renzi hanno ieri in qualche modo discusso un accordo di coabitazione. Forse fragile, ma a giudizio di entrambi soddisfacente: il sindaco di Firenze si occuperà di guidare le danze sulla legge elettorale, che dovrà essere approvata entro le Europee, ma tenendo presente «che il governo non può promuovere una legge che metta nell’angolo due degli alleati che sostengono l’esecutivo»; Letta invece avrà l’appoggio del segretario del Pd nel mettere nero su bianco e approvare il contratto di coalizione, che nel crono-programma prevederà anche i primi due passaggi della riforma del Senato prima delle Europee.
Si può anche vedere in questa luce il faccia a faccia dei due leader, durato quasi un’ora e mezza. Alla fine grandi comunicazioni, soprattutto da parte di Palazzo Chigi, d’intesa e collaborazione solida e fruttuosa. Ma anche segnali di una distanza che resta: sul metodo della legge elettorale e sulla comunicazione esterna del Pd. Per il premier, che l’ha detto al segretario, «non è possibile che il governo sia il bersaglio costante di un partito che esprime il presidente del Consiglio». E pazienza se il Pd sale nei sondaggi quando si esprime in modo dialettico verso l’esecutivo.
La distanza sulla legge elettorale viene misurata anche nelle parole pubbliche del premier, nel corso di un’intervista pomeridiana a RaiNews24: Renzi «fa benissimo» a parlare con tutti, ma «ovviamente a partire da una condivisione nella maggioranza». Concetto che Renzi ha invece ripetutamente rifiutato, aprendosi al dialogo (almeno tattico) con tutti, a partire dalla Lega e da Berlusconi.
Di un doppio binario fra programma di governo e legge elettorale dice del resto lo stesso Letta, quando sostiene che il tema «è materia propria del Parlamento» e dunque il governo può al massimo fare opera di indirizzo. Rischia di non fare nemmeno questa e di conseguenza il premier è scettico che per fine mese Renzi riesca a centrare l’obiettivo, «ma ci provi pure, anche se alle condizioni di cui sopra», è il senso dei ragionamenti che si ascoltano a Palazzo Chigi.
Il 27 gennaio la Camera ne comincerà a discutere e si capirà se il metodo, e le condizioni, del premier saranno rispettate. Ieri, di fronte alla determinazione del segretario pd a marcare la data del 27 come quella decisiva, Letta in qualche modo sfumava la fiducia: «Spero che la prossima settimana arrivino le motivazioni della sentenza della Consulta. Quelle motivazioni daranno indicazioni chiare», solo «allora, effettivamente, quella del 27 gennaio può diventare la partenza della legge elettorale».
Ovviamente, in pubblico, vengono rimarcati i punti di incontro: «Con Renzi siamo entrambi determinati ad andare avanti. Sappiamo che applicarsi è la nostra priorità, abbiamo il ruolo e la determinazione per farlo. Penso che si debba comprendere che è passato il tempo in cui la politica poteva permettersi di avere personaggi in ruoli istituzionali che passassero il tempo a litigare tra di loro. Oggi le priorità della politica sono i problemi, il lavoro che si deve creare. Sia io sia Renzi sappiamo che bisogna applicarsi a questi temi, siamo due persone che hanno voglia di farlo», dice Letta qualche ora dopo nel corso dell’intervista.
Ma durante la giornata emerge anche un dettaglio significativo del contratto di coalizione che per Letta dovrà essere siglato entro le prossime due settimane: «Vi introdurrò codici di comportamento molto chiari: ci deve essere rispetto reciproco e un luogo permanente nel quale assumiamo decisioni con spirito di leale collaborazione tra alleati», aggiunge, convinto che per un anno di riforme occorrano anche regole di collaborazione e lealtà molto precise fra tutti gli attori della maggioranza. «E sono sicuro che funzionerà».
Altra novità è l’intenzione del presidente del Consiglio di recarsi in Parlamento, quando il contratto di coalizione sarà pronto e firmato: un voto di Camera e Senato, un ulteriore impegno solenne della maggioranza, dovrebbe a quel punto rafforzare il lavoro che nel 2014 dovrà vedere Letta e Renzi, e soprattutto Letta e il partito democratico, trovare forme di collaborazione meno conflittuali di quelle delle ultime settimane.
Marco Galluzzo


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