Le condizioni del segretario: trattativa con il Cavaliere se dice sì al taglio del Senato

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«Ho incontrato tutti — spiega il leader ai suoi — tranne Lega e grillini, che si sono rifiutati. E sono disposto a incontrare pure Berlusconi, nonostante le polemiche interne al partito. Ma a una sola condizione, che gli ho fatto sapere: lui deve dire di sì all’abolizione del Senato e alla riforma del titolo quinto della Costituzione. Se ci sono questi due via libera io non ho problemi a chiudere con lui anche un patto sulla riforma elettorale. D’altra parte, è quello che chiede, e non da ora, Napolitano. E voglio vedere di fronte all’ipotesi di un accordo su una grande riforma, chi, in casa mia o anche altrove, potrebbe obiettare. Sarebbe un traguardo importante».
Renzi non vuole l’accordo con Berlusconi per farlo resuscitare o per convenienza. Anche se il leader di Forza Italia è convinto che di lì passi la sua resurrezione: «Renzi mi veda ufficialmente e io gli dirò di sì su tutto, perché le riforme che propone sono quelle giuste».
Il segretario del Pd non abbocca all’amo e attende: «Berlusconi potrebbe scartare: quindi o c’è la sua sigla sotto il patto per le grandi riforme oppure non lo posso incontrare».
Nel frattempo, il leader del Pd deve risolvere i problemi in casa sua. È vero, come ribadisce lui stesso ai fedelissimi, che ha «la maggioranza della direzione anche senza i franceschiniani». Un modo elegante per dire: se volessi potrei andare avanti, a prescindere da quello che dice il governo. Ma è anche vero che c’è il rischio del fuoco amico. Di cui, però, Renzi sembra non avere troppa paura. Almeno questa è l’impressione che dà ai suoi: «So che Franceschini e anche Alfano in questi giorni stanno insistendo sul doppio turno. Ma, ragazzi, il ballottaggio non è così importante per la governabilità. Quello che conta è il premio di maggioranza, che si può avere al primo turno».
Quindi, il segretario, finalmente lontano dalle telecamere, si sbottona un po’ e spiega: «Secondo me il buon Alfano e tutti gli altri non hanno capito come funziona il meccanismo del primo turno». Certo, lui, ossia Renzi, ha dalla sua un esperto come D’Alimonte, che sta seguendo la vicenda. E su quello va avanti: «Capisco che c’è chi vuole intorbidare le acque perché non tocca palla, visto che siamo noi del Pd a dominare il campo». E a sperare di mettere insieme Vendola e Berlusconi. Renzi è inarrestabile e prima della Direzione vuole avere tutto sotto controllo. Racconta ai suoi: «Alfie vorrebbe il doppio turno con circoscrizioni enormi e preferenze. Un ritorno alla prima Repubblica che non permetterò mai». Dopodiché, fa il punto degli incontri passati e futuri: «Il Mattarellum va bene, ma vanno bene anche le liste brevi bloccate. Basta il primo turno per decidere, per cui si potrebbe fare un turno unico, però se c’è chi pensa al ballottaggio, io non ho problemi. Certo, con le liste brevi bloccate noi avremmo una vittoria e, soprattutto, Berlusconi non potrebbe dire di no…».
Certo, in quel caso «si ribellerebbero i partiti piccoli» e, anche il partito di Alfano, ma questo non sembra turbare troppo i sonni del segretario: «Stiamo per chiudere sul serio, ed è per questo che c’è tanta agitazione in giro». Ma soprattutto c’è agitazione perché, come confessa il segretario, c’è tanta gente «che non tocca palla». Nel governo e nel Pd. Cosa che non turba più di tanto Renzi.
In realtà è un altro il motivo che lo spinge ad andare avanti: il mandato che in qualche modo gli ha conferito Napolitano per tentare la strada della «Grande riforma». Perciò Renzi, dice ai suoi: «Voglio vedere chi dirà che questa strada è sbagliata». Soprattutto dopo che oggi, in direzione, grazie all’esperienza e alla memoria di Giachetti, ripeterà le dichiarazioni che Fassino e Franceschini fecero all’epoca del Porcellum. Parole di fuoco contro la legge elettorale fatta a maggioranza. Parole che non si capisce per quale motivo «non si potrebbero ripetere ora se i partiti della maggioranza decidessero di fare da soli la riforma».
Già, e Renzi non sembra temere nemmeno i possibili franchi tiratori sulla legge elettorale: «Non avrebbe senso, perché significherebbe decretare la morte del governo», spiega ai suoi, annunciando anche che oggi, salvo sorprese dell’ultim’ora, proporrà in direzione le «cento proposte di governo» del Pd. Tanto per ribadire che l’esecutivo , come sostiene un renziano della prima ora, «è un ectoplasma che deve solo seguire l’agenda dal Partito democratico».
Maria Teresa Meli


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