“Se salta tutto, si torna allo spagnolo secco”

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 I CORRETTIVI riguardano «il sistema di assegnazione del premio di maggioranza, soprattutto per il caso in cui nessuno dovesse raggiungere la soglia di accesso al premio». Continuerà a lavorarci questa mattina, prima della Direzione Pd del pomeriggio che in realtà il segretario mostra di temere poco o nulla.
Sotto osservazione sulla sua scrivania finisce dunque l’ipotesi in cui nessuna coalizione dovesse superare la quota minima prevista per accedere al premio (ancora da fissare tra il 35, il 37 o il 40 per cento). È il tallone d’Achille del patto stretto sabato pomeriggio al Nazareno con Forza Italia. Ne ha parlato con gli emissari del Cavaliere. Se nessuno raggiungesse quella soglia, cosa accadrebbe? Impensabile, per il numero uno del Pd, che si torni a una ripartizione proporzionale dei seggi. E nulla può essere lasciato al caso, la partita è delicata. Indispensabile confrontarsi ancora col leader forzista sull’opzione due, su una scialuppa di salvataggio possibile per il sistema.
Renzi, comunque soddisfatto, non fa nulla per nasconderlo nella domenica di lavoro trascorsa tra Firenze e la puntata in ospedale a Parma al capezzale del predecessore Bersani. «In un mese abbiamo fatto quel che gli altri non hanno fatto in vent’anni» è quel che i collaboratori più stretti gli sentono ripetere in queste ore. Il segretario è convinto che «l’obiettivo più grande resti l’abolizione del Senato e la revisione del Titolo V della Costituzione ». Ma un anello è legato all’altro e tutti sembrano appesi a quello più grosso, la legge elettorale.
Le dichiarazioni, in alcuni casi le bordate dell’ala sinistra del partito che ha sparato a pallettoni contro l’«accoglienza» in sede al Cavaliere condannato e decaduto se le lascia scorrere addosso. Sicuro com’è «di poter convincere tutti». E per tutti è l’avvertimento che ne consegue. «Se poi quell’accordo dovesse saltare, allora deve essere chiaro a tutti che si torna allo spagnolo secco e su quello siglo un’intesa solo con Berlusconi». Gli oppositori interni al Pd, ma soprattutto Alfano e il
suo Nuovo centrodestra non potranno dire di non essere stati messi in guardia. Lui ne è convinto: «Quando nelle prossime ore tutti leggeranno il testo, anche per la minoranza del mio partito sarà impossibile dire di no». Con buona pace dei Cuperlo e dei Fassina. «Se ieri ho usato la formula “profonda sintonia” — raccontava ieri ai suoi a proposito del vertice con Berlusconi — è stato per non usare “intesa” o “accordo”. E se riusciamo ad approvare quel pacchetto, dovrebbe essere chiaro a tutti che non sono io, Matteo, a fare Bingo, ma il Paese».
Fuori dal recinto dem, ministri del Ncd, lo stesso vicepremier Alfano, Renato Schifani e gli altri riuniti ieri a Pesaro in guardia lo sono e non poco. Si attendevano entro ieri sera una bozza dell’intesa da poter studiare, valutare, esaminare. Nulla da fare. È molto probabile che il sindaco di Firenze voglia illustrarla prima alla Direzione del suo partito. Al più, forse, fornirà qualche traccia questa mattina allo stesso Alfano, dato che è in programma un faccia a faccia con il vicepresidente del Consiglio dopo le telefonate di sabato tra i due. Di certo, il vuoto di comunicazione ha mandato in fibrillazione i ministri centristi. Già in ambasce per le sorti del loro governo. Il capo del Viminale nell’incontro di questa mattina vorrebbe strappare al leader pd un impegno per il rimpasto che faccia ripartire il governo, insomma un maggiore coinvolgimento diretto dello stesso Renzi. Difficile che il segretario ceda. Ormai al voto non si va, se la situazione non precipita. Ma questo non vuol dire che il capo del partito non voglia marcare comunque la distanza dall’esecutivo Letta-Alfano.
Chi ha visto Silvio Berlusconi ieri ad Arcore, dove si è ritirato dopo l’exploit in casa Pd di sabato, ha scorto il «ghigno» dei momenti d’oro. Sicuro che l’accordo vada in porto perché il giovane segretario dem lo ha visto «determinato e io mi fido di lui». Il fatto è che il leader forzista guarda anche al di qua della legge elettorale e delle grandi riforme, guarda ai suoi problemi. «Se le cose vanno come devono andare — si chiede adesso — a questo punto, come fanno a non approvare quell’emendamento che esclude il carcere per gli ultra settantenni? Come si può pensare di mettere in galera uno che sta per diventare padre della Patria?» Il Cavaliere si dice certo che per questo anche la Corte di giustizia europea nelle prossime settimane «dovrà prendere in considerazione la concreta possibilità di sospendere l’interdizione». È il sogno mai sepolto della riabilitazione politica e della resurrezione personale.


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