Libertà d’informazione, l’Italia migliora dopo il Datagate gli Usa da bocciare

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ADDIO «spirale negativa», siamo diventati un po’ più liberi. La «incoraggiante» bozza di legge «sulla depenalizzazione della diffamazione a mezzo stampa e altri media» ha fatto guadagnare all’Italia otto posizioni in classifica in un solo anno nella graduatoria mondiale delle libertà dell’informazione, in cui eravamo tristemente 57esimi: nel rapporto 2014 di Reporters sans Frontières siamo diventati 49esimi. Sempre tristi, sì, ma un po’ meno.
Il luogo in cui i giornalisti sono meno oppressi resta il Nord europeo, con i primi quattro posti invariati: Finlandia, Olanda, Norvegia e Lussemburgo. Scende di 2 punti la Francia, 39esima, e ne perde 4 il Regno Unito, 33esimo, mentre la Germania sale al 14° posto. Ma la vera sorpresa è la caduta precipitosa degli Stati Uniti, spinti al ribasso dai casi del soldato Manning e di Julian Assange per WikiLeaks, e di Edward Snowden per il Datagate: sono affondati alla 46esima posizione. Pagano «un’interpretazione eccessivamente ampia e abusiva delle esigenze di sicurezza nazionale», tradottasi nella pressione ciclopica messa in campo per «rintracciare gli autori delle rivelazioni e delle fughe di notizie».
La stretta sorveglianza con cui Washington ha intralciato il lavoro dei giornalisti, minacciando la segretezza delle loro fonti, è una zavorra per il paese che difende espressamente la libertà di stampa nel I emendamento: «Il processo e la condanna a Bradley Manning e la caccia a Edward Snowden sono moniti per quanti intendono contribuire alla diffusione di informazioni la cui pubblicazione servirebbe gli interessi dell’opinione pubblica», spiega il rapporto del World Press Freedom Index di RSF.
Nonostante ciò, l’America di Obama continua a precederci in classifica, anche se le distanze sono ormai così ridotte che l’Italia può guardare altrove, cercando i suoi modelli. Tra questi non c’è Israele, che sebbene garantisca un buon livello di libertà ai giornalisti israeliani rende molto difficile il lavoro e la vita a quelli palestinesi: è 112esimo. Ma i cattivi esempi non mancano davvero: in Europa, il posto in cui è sempre più difficile raccontare la verità è l’Ungheria di Orban; nel 2010 era 23esima ma, grazie alla cura reazionaria e illiberale del premier, in pochi anni è precipitata al 64esimo posto.
In fondo alla classifica, invece, se è scontato il 173esimo posto della Cina, notoriamente poco avvezza alle critiche dei giornalisti, curiosamente non è la Siria — in cui nel 2013 sono stati uccisi dieci giornalisti — il luogo in cui la stampa è più minacciata: è 177esima seguita da Turkmenistan, Corea del Nord e, fanalino di coda delle libertà d’espressione, Eritrea.


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La crisi alimentare permanente

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Stiamo entrando in un’era di crisi alimentare permanente. L’allarme è di Oxfam, ong britannica (ma con audience internazionale) per lo sviluppo. In un rapporto diffuso ieri, sotto il titolo «Far crescere un futuro migliore: giustizia alimentare in un mondo di risorse scarse», i ricercatori di Oxfam sostengono che il prezzo delle derrate alimentari è destinato a salite in modo stabile, anzi a raddoppiare nei prossimi vent’anni, e che questo pone «una sfida senza precedenti»: è necessario riformare in modo drastico l’intero sistema alimentare mondiale, dice il rapporto.

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