Usa, assalto alle reti della Silicon Valley

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NEW YORK — «L’attacco cominciò pochi minuti dell’una di notte, il 16 aprile dell’anno scorso. I tiratori aprirono il fuoco per 19 minuti consecutivi, paralizzando chirurgicamente 17 trasformatori giganti che forniscono la corrente elettrica alla Silicon Valley. Un minuto prima che arrivasse la polizia, i tiratori erano scomparsi nella notte». Potrebbe essere l’inizio della sceneggiatura di un thriller di Hollywood. Rischia di diventare un incubo per l’America intera. Quella è la cronaca ricostruita dal Wall Street Journal dopo mesi di indagini, su un episodio di “terrorismo domestico” nel centro nevralgico delle tecnologie americane. La dimostrazione che un commando bene addestrato può mettere in ginocchio le grandi aziende hi-tech, e con loro l’intera nazione.
Quel che accresce l’inquietudine è che su quell’episodio l’Fbi brancola nel buio, gli autori non sono soltanto impuniti: sono sconosciuti. Perciò potrebbero colpire ancora, in qualsiasi momento, lì o altrove. Di certo erano dei professionisti, capaci di colpire la principale centralina elettrica della Silicon Valley ma anche i cavi telecom dell’AT&T e le fibre ottiche di uno dei principali operatori Internet. Per quanto riguarda l’elettricità, ci sono voluti 27 giorni ai tecnici della Pacific Gas and Electricity (PG&E) di San Francisco, per rimettere in funzione la centralina. «Nessuno è stato arrestato, e l’incidente è stato nascosto all’opinione pubblica», osserva il Wall Street Journal.
Perché tanto mistero? Imbarazzo per l’inefficienza della polizia? O altri timori? A rompere la congiura del silenzio ci ha pensato colui che all’epoca era ai vertici dell’authority dell’energia: Jon Wellinghoff, della Federal Energy Regulatory Commission. È lui che confida al
Wall Street Journal la sua certezza: «L’attacco fu il più grave atto di terrorismo nazionale, con l’infrastruttura elettrica come bersaglio». Wellinghoff non ha parlato solo con il quotidiano. Ha testimoniato a porte chiuse al Congresso, davanti all’Fbi, perfino alla Casa
Bianca. Via via che passano i mesi e le indagini non fanno alcun progresso, ha sentito il bisogno di lanciare l’allarme in modo da essere ascoltato. Non è il solo a nutrire questi sospetti. Anche un dirigente della PG&E, Mark Johnson, parlando in un convegno di aziende energetiche, ha fornito un’interpretazione identica: «Quello non fu un gesto isolato, non era un gruppo di amici ubriachi che all’uscita dalla birreria sono andati a fare il tiro a segno. È stato un attacco pianificato, con una precisione di tiro per colpire i componenti cruciali della centrale».
L’idea che il terrorismo possa prendere come bersaglio le grandi infrastrutture, a cominciare dalla rete elettrica, preoccupa le autorità americane fin dall’11 settembre 2001. Il “grid”, come viene chiamata la grande rete di distribuzione della corrente, è piena di fragilità. Senza bisogno dei terroristi, sono bastati degli eventi naturali (uragani, grandi nevicate seguite dal gelo) per mettere k. o. alcune zone del paese. Nel 2003 un incidente iniziato con un tornado che aveva abbattuto alberi e fili elettrici, scatenò un effetto-domino e un gigantesco blackout con 50 milioni di persone senza luce tra la East Coast americana e canadese per molti giorni. Una struttura già così vulnerabile, è un target ideale per i terroristi. Sulla matrice del terrorismo che può aver fatto le sue “prove generali” nella Silicon Valley, nessuno vuole pronunciarsi. I precedenti vicini o lontani non mancano, anche nella stessa California che negli anni Settanta ebbe le Black Panther. L’estrema sinistra generò la lotta armata di Weathermen. Non lontano ci sono le milizie della supremazia bianca di estrema destra. Ma come dimostrò l’attentato di Boston, anche quando si dice “domestico”, nessuna pista è da escludere a priori.


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