Londra, niente libri ai detenuti il divieto che indigna gli scrittori

Londra, niente libri ai detenuti il divieto che indigna gli scrittori

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LONDRA. Nell’intento di soddisfare il populismo da tabloid, il governo britannico ha trovato un nuovo sistema per rendere più dura la vita a chi sta in carcere: proibire ai detenuti di ricevere libri. Familiari e amici non possono più spedirli ai loro congiunti o conoscenti dietro le sbarre. Il divieto è entrato in vigore lo scorso novembre, ma è diventato di dominio pubblico solo recentemente, dopo la denuncia di un blog sui diritti umani. La reazione è stata immediata: una petizione online lanciata da Philip Pullman, Mark Haddon e altri scrittori e intellettuali inglesi ha raccolto migliaia di firme in appena 24 ore e ieri la polemica ha costretto le autorità a cercare di giustificare il provvedimento.
Il ministro della Giustizia Chris Grayling, ideatore dell’iniziativa, nega che siano stati messi al bando i libri in prigione: «Tutti i carcerati possono tenere fino a un massimo di dodici libri nella propria cella», afferma. Ma poi spiega in che modo possono procurarseli: o prendendoli in prestito nella biblioteca del carcere, o ottenendo un certificato di buona condotta in virtù del quale il divieto non ha più valore, e allora hanno di nuovo la possibilità di acquistarli o di farseli inviare da qualcuno. «Vogliamo dare degli incentivi ai condannati affinché si comportino meglio, vogliamo spingerli a impegnarsi per guadagnare privilegi », osserva Grayling, che ha vietato non soltanto l’invio di libri ma pure di ogni altro effetto personale.
Il problema è che le biblioteche nelle carceri non esistono, sono mal fornite o sono comunque visitate dai carcerati al massimo una volta ogni due-tre settimane, tanto più ora che i tagli alla spesa pubblica hanno fatto diminuire il numero delle guardie carcerarie e spesso non c’è nessuno che possa accompagnare il prigioniero dalla sua cella alla biblioteca.
Per gli scrittori che protestano contro le nuove misure, tuttavia, la questione non è solo pratica ma soprattutto morale. «È uno degli atti più maligni, disgustosi, vendicativi di un governo barbaro come il nostro» dice Pullman, autore del romanzo La bussola d’oro e della serie Queste oscure materie, augurandosi che Downing street ritiri il divieto, licenzi il ministro responsabile e «gli tolga di mano la frusta».
La scrittrice Susan Hill afferma che «una società si giudica dal modo in cui tratta i suoi prigionieri, vietare i libri in carcere è una mossa da stato totalitario». Mary Beard, docente di storia e letteratura a Cambridge, osserva che «i libri educano e riabilitano, vietarli in prigione è una follia ». Jo Glanville, direttore dell’Associazione Scrittori d’Inghilterra, nota che il lavoro svolto in carcere dalla sua organizzazione rivela quanto i libri siano importanti per i prigionieri. E altri ricordano che perfino nel campo di prigionia di Guantanamo, dove l’America tiene rinchiusi senza processo i sospetti di terrorismo, i prigionieri possono ricevere libri (sebbene con assurde censure). Ma in Inghilterra, patria dei diritti civili, no.


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