Taglio Irpef e spending review, il Cdm insiste sull’austerità

Taglio Irpef e spending review, il Cdm insiste sull’austerità

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Via libera delle Camere al rinvio del pareggio di bilancio al 2016. Oggi sarà approvato il decreto: 620 euro nel 2014 ai dipendenti, nel 2015 saliranno a 960, i famosi 80 euro al mese. Le camere approvano il Def che non prevede il calo dei senza lavoro né la crescita, ma «risparmia» su scuola e sanità, blocca i contratti per la riduzione delle tasse

Il par­la­mento ha appro­vato lo spot elet­to­rale di Renzi sulla ridu­zione dell’Irpef da 620 euro per i red­diti tra i 17.714 euro e i 24.500 euro nel 2014. L’importo va spal­mato sugli otto mesi che man­cano alla fine dell’anno e vale circa 80 euro al mese. Nel 2015 si avrà un taglio del 5% per i red­diti fino a 19 mila euro, 950 euro per la fascia tra i 19 mila e i 24.500 euro. Le camere hanno appro­vato a mag­gio­ranza asso­luta anche il rin­vio del pareg­gio di bilan­cio al 2016 richie­sto dal mini­stro dell’Economia Padoan alla Com­mis­sione Ue a causa della «fra­gile ripresa», per il paga­mento di ulte­riori 13 miliardi per i debiti della P.A e un incre­mento del saldo netto da finan­ziare di circa 20 miliardi nel 2014.

Al Senato il prov­ve­di­mento è pas­sato con 170 voti: 162, più 8 «extra», cioè il leghi­sta Roberto Cal­de­roli, 5 sena­tori di Sini­stra Eco­lo­gia e Libertà e 2 ex Movi­mento 5 Stelle. Al Senato, que­sto voto è stato attac­cato dalla destra che ha denun­ciato il «soc­corso rosso» di Sel ad un governo senza mag­gio­ranza. In realtà, con 162 voti, Renzi la mag­gio­ranza ieri ce l’aveva. Sel ha spie­gato il suo voto «per motivi tec­nici – ha detto Giu­lio Mar­con nel suo discorso alla Camera — è un segno di dispo­ni­bi­lità rispetto al paese e non verso il governo». E ha rin­fac­ciato a Gel­mini o Bru­netta che l’attaccavano l’ipocrisia di avere votato con il Pd il Fiscal Com­pact e oggi ne denun­ciano la peri­co­lo­sità. Il pre­si­dente della Com­mis­sione Bilan­cio della Camera, Fran­ce­sco Boc­cia (Pd) ha elo­giato il «senso delle isti­tu­zioni» di Sel. Quest’ultima sostiene di avere votato per­ché con­duce un«’opposizione pragmatica».

Il Movi­mento 5 Stelle ha invece votato anche con­tro il rin­vio e sostiene che Padoan abbia perso l’occasione di chie­dere una deroga a tutti gli accordi euro­pei sull’austerità. Il mini­stro ha detto ieri in aula che il rien­tro del debito pub­blico al 60% sarà giù avviato nel 2015 anche se la cre­scita è allo 0,8% (in realtà è già allo 0,6%) e non certo al 3% come auspi­cato dal gover­na­tore di Ban­ki­ta­lia Visco. Le gana­sce del Fiscal com­pact scat­te­ranno nel 2016 e il governo dovrà tagliare 50 miliardi all’anno fino al 2036. Lo stesso Def ha smen­tito un altro degli effetti della cre­scita: il calo della disoc­cu­pa­zione. Resterà al 12% anche nel 2016.

Oggi il con­si­glio dei mini­stri appro­verà dun­que un decreto incon­si­stente e ispi­rato alla filo­so­fia dell’austerità espan­siva: i soldi per finan­ziare il taglio delle tasse li pre­le­verà dagli sti­pendi dei dipen­denti pub­blici. Oltre a 1,1 miliardi di tagli alla difesa, ci sono i 2,4 miliardi alla sanità in due anni. Molta atten­zione è stata pre­stata al taglio degli sti­pendi dei mana­ger, merito della potenza di fuoco della bolla media­tica creata da Renzi, molto meno sugli altri tagli che ali­men­te­ranno la depres­sione eco­no­mica dovuta al crollo della domanda e ad una cre­scita che non pro­duce occu­pa­zione. Il Def ren­ziano pre­vede nuovi tagli a scuola e sanità per un calo com­ples­sivo di fondi dello 0,5% nei pros­simi 15 anni. Il rispetto dei vin­coli di bilan­cio sarà tra l’altro otte­nuto anche gra­zie al blocco dei con­tratti per il pub­blico impiego fino al 2017, men­tre si pro­fila un suo pro­lun­ga­mento fino al 2020. Con i tagli tra il 2006 e il 2012 il per­so­nale della scuola ha perso uno sti­pen­dio annuo da 30 mila euro.
Il para­dosso che que­ste per­sone che dovreb­bero rice­vere il bonus pre-elettorale da 80 euro ne lasce­ranno molti di più allo Stato per il man­cato aumento dello sti­pen­dio. Que­sto è l’unico ele­mento certo in una mano­vra dalle coper­ture tra­bal­lanti, come hanno notato Ban­ki­ta­lia e la Corte dei Conti. I 7 miliardi di euro dalla spen­ding review non sono affatto certi.

Senza con­tare che i pre­sunti bene­fici in busta paga ver­ranno can­cel­lati dall’aumento della Tasi, oltre che dall’impostazione regres­siva della loro distri­bu­zione sulla pla­tea di 10 milioni di per­sone: il 40% dei bene­fici andranno per 2/5 ai red­diti alti, solo il 12% a un 1/5 dei red­diti bassi, un’impostazione regres­siva. Al momento, restano esclusi i pen­sio­nati, i pre­cari e il lavoro auto­nomo che Renzi ha can­cel­lato, ma non gli inca­pienti (solo 40 euro al mese). Gli alfa­niani hanno pro­messo di sal­va­guar­dare gli auto­nomi, la sini­stra Pd e i sin­da­cati insi­stono per pen­sio­nati e inca­pienti. Nes­suno sem­bra pre­oc­cu­parsi dei fan­ta­smi pre­cari che una busta paga non ce l’hanno.



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