Gaza, Israele rifiuta la tregua “ Solo dodici ore di pausa ”

Gaza, Israele rifiuta la tregua “ Solo dodici ore di pausa ”

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NO A KERRY. NETANYAHU: DISTRUGGEREMO I TUNNEL
RAMALLAH. HANNO aspettato la Laylat al Qadr, la notte del destino, per far sentire la loro rabbia per la guerra di Gaza. E alla vigilia dell’ultimo venerdì di Ramadan sono scesi in strada e si sono dati battaglia per tutta la notte e gran parte della giornata di ieri in quasi tutta la Cisgiordania.
IN UN black friday finito con cinque morti palestinesi e oltre duecento feriti. Il temuto pericolo del “contagio” della crisi nella Striscia è arrivato anche in questi Territori palestinesi. Hebron, Nablus, Jenin, Ramallah. Ma ha anche oltrepassato il Muro di Sicurezza degli israeliani per espandersi nei quartieri arabi di Gerusalemme Est e nella Città Vecchia. Sono state le manifestazioni più imponenti e violente degli ultimi anni, un’escalation di proteste popolari che finora si era appena sentito nella Cisgiordania, che nella rabbia e nella determinazione è forse già una Terza Intifada.
Il check point di Qalandia — il più vicino a Gerusalemme e usato dai palestinesi con permesso di lavoro in Israele — è stato il teatro di una battaglia feroce, andata avanti per ore. Oltre diecimila palestinesi che in corteo hanno sfidato le truppe anti-sommossa nel tentativo di forzare il posto di controllo, che è un vero e proprio fortino. In testa si riconoscevano molti leader di Fatah, il partito del presidente Abu Mazen. La folla, famiglie, giovani, ragazzini e cani sciolti ha percorso i due chilometri dal campo profughi di Al-Amari gridando slogan a sostegno dei “fratelli” di Gaza, ma dopo le prime granate assordanti in strada sono rimasti solo i ragazzi con le fionde e le kefie. Sono volati sassi e mortaretti, poi le molotov, e in un crescendo sono spuntati i kalashnikov delle Brigate Al Aqsa — il braccio armato di Fatah — che hanno sparato verso la polizia antisommossa israeliana. Ricevendo in cambio, proiettili di gomma, granate stordenti e poi i colpi veri. Le persone cadevano come fossero birilli, due morti e centocinquanta feriti, sessanta con pallottole vere. In una notte si sono riempiti anche gli ospedali di Ramallah e di El Bireh, il presidente Abu Mazen da Amman ha invitato tutti i palestinesi ad andare negli ospedali per donare sangue. Il tam tam è partito, e spinte dalle notizie di morti e feriti a Qalandia, altre marce sono partite finendo in scontri a Hebron, a Tulkarem e Betlemme. Tre manifestanti sono stati falciati dalle raffiche esplose dai militari a Beit Ummar, un villaggio a due passi da Hebron, ieri pomeriggio. Alle porte di Nablus manifestanti palestinesi e coloni ebrei sono venuti a contatto diretto quando è stata bersagliata con dei sassi un’auto dei settlers, una donna a bordo dell’auto ha sparato uccidendo un ragazzo di diciotto anni. È intervenuto l’esercito che ha sparato prima lacrimogeni e poi pallottole vere che hanno ferito a morte un giovane e gravemente altri tre.
Battaglia anche attorno alla Spianata delle Moschee, dove la polizia ha vietato ieri l’ingresso ai minori di 50 anni e presente con uno spiegamento impressionante, ha disperso gruppi giovani che lanciavano sassi e molotov prima di fuggire per i vicoli di una Città Vecchia spettrale, deserta. Con tutti i negozi chiusi per solidarietà con Gaza e disertata dai turisti spaventati dalle violenze. In fiamme una vicina stazione della Polizia.
Si compiace Hamas che la protesta abbia varcato i confini della Striscia e altro sangue sia scorso in Cisgiordania, ed erode il sempre meno convinto sostegno alla leadership moderata dell’Anp. Fa appello ai palestinesi della Cisgiordania perché estendano la lotta contro l’occupazione. «Dobbiamo sfruttare questa opportunità », dice Izzat Risheq dell’Ufficio politico di Hamas, «per accendere fiamme su tutto il territorio, questo è l’inizio della lotta di liberazione ». Le fiamme che piacciono a Hamas sono anche quelle che stanno per mandare in fumo la leadership del presidente Abu Mazen, scavalcato dalla protesta popolare che solidarizza con Hamas che gode adesso di un rispetto che a Ramallah non ha mai avuto.
«Le richieste di Hamas non sono solo condivisibili, sono quelle che avremmo dovuto fare noi», dice con convinzione Yasser Abed Rabbo, ascoltato consigliere di Abu Mazen. Persino la cristiana Hanan Ashrawi — ex ministro della Cultura, esponente di peso del Comitato esecutivo di Fatah — da sempre un nemico acerrimo di Hamas e degli islamisti, non trova nel suo forbito vocabolario da professoressa universitaria parole diverse da «massacro» e «sterminio ». «Due popoli, due Stati», «negoziato», «trattative», al momento fatica a trovarle.



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