Cassazione, stop alle pene illegittime

Cassazione, stop alle pene illegittime

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In un momento di appan­na­mento, se non di declino, della ragione giu­ri­dica (e non solo), è con­for­tante leg­gere le parole scritte dal mas­simo ver­tice giu­ri­sdi­zio­nale, le Sezioni Unite della cas­sa­zione, nella sen­tenza depo­si­tata il 14 otto­bre scorso in mate­ria di ese­cu­zione di pene “inco­sti­tu­zio­nali” (pre­si­dente San­ta­croce, esten­sore Ippolito).

Il que­sito cui la cas­sa­zione doveva rispon­dere era, in som­ma­ria sin­tesi, il seguente: la sen­tenza della Corte costi­tu­zio­nale che dichiara ille­git­tima una norma di legge che pre­vede un aggra­va­mento di pena, si applica solo ai pro­cessi in corso o anche alle con­danne pas­sate in giudicato?

Il pro­blema è diven­tato, in que­sti ultimi tempi, molto pres­sante, a causa di una legi­sla­zione insen­sata che, accanto alle leggi ad per­so­nam, e per coprirne l’indecenza, si è acca­nita con­tro l’emarginazione sociale, pro­du­cendo una serie di norme repres­sive che hanno costretto la Con­sulta a inter­ve­nire per ripri­sti­nare la lega­lità costituzionale.

Intanto, nelle more delle deci­sioni della Con­sulta, molte con­danne (in par­ti­co­lare per fatti di droga o con­tro gli immi­grati), sono diven­tate defi­ni­tive e allora in seno alla magi­stra­tura ordi­na­ria, com­presi i giu­dici della cas­sa­zione, è nato un contrasto.

Per alcuni la parte di pena dichia­rata ille­git­tima va eli­mi­nata dalla con­danna, essendo evi­dente che stare in car­cere per scon­tare una pena irro­gata in base ad una legge che non ha diritto di cit­ta­di­nanza nel nostro ordi­na­mento, è una palese ini­quità. Per altri invece, la “intan­gi­bi­lità del giu­di­cato” non con­sen­ti­rebbe di ritoc­care le pene in corso di espiazione.

Su que­sto con­tra­sto sono inter­ve­nute le Sezioni Unite che hanno optato per la prima solu­zione, con una moti­va­zione che, al di là del caso spe­ci­fico, scrive un pezzo di sto­ria dell’esercizio della giu­ri­sdi­zione penale.
Due erano le que­stioni di prin­ci­pio impli­cate nella deci­sione dei giu­dici di piazza Cavour: la par­ti­co­lare inci­denza delle pro­nunce di inco­sti­tu­zio­na­lità sulle leggi penali; i limiti e la fun­zione del “giu­di­cato penale”.

Su entrambi i temi si sono affron­tati, sin dall’entrata in vigore della Costi­tu­zione, le due con­trap­po­ste anime della magi­stra­tura sul ter­reno dell’esercizio della giu­ri­sdi­zione penale: l’una domi­nata dalla esi­genza di con­ti­nuità con il pas­sato e influen­zata, come scrive la Cas­sa­zione, “dall’affermato ed ege­mone pri­mato del potere sta­tuale su qual­siasi diritto della per­sona”; l’altra che, invo­cando il pri­mato dei nuovi valori costi­tu­zio­nali, ha riven­di­cato la mas­sima espan­sione dell’efficacia “retroat­tiva” delle pro­nunce della Con­sulta e “con la pro­cla­ma­zione dei diritti fon­da­men­tali, ha dato l’avvio ad una muta­zione del signi­fi­cato tota­liz­zante dell’intangibilità del giu­di­cato quale espres­sione della tra­di­zio­nale con­ce­zione auto­ri­ta­ria dello Stato, raf­for­zan­done per con­tro la valenza di garan­zia individuale”.

La deci­sione della cas­sa­zione avrà cer­ta­mente le sue rica­dute posi­tive sulle con­danne pas­sate in giu­di­cato, in par­ti­co­lare a riguardo delle insen­sate pene per le cosid­dette dro­ghe leg­gere, com­mi­nate dalla Fini-Giovanardi, dichia­rata inco­sti­tu­zio­nale dalla Con­sulta nel feb­braio scorso.

Per quanto non stret­ta­mente vin­co­lante in via gene­rale, la deci­sione del mas­simo organo giu­ri­sdi­zio­nale dovrebbe spaz­zare via le resi­due resi­stenze che la parte con­ser­va­trice dei nostri giu­dici ha finora oppo­sto all’applicazione equa e ragio­ne­vole delle ripe­tute pro­nunce di ille­git­ti­mità di norme repres­sive incom­pa­ti­bili con i prin­cipi costituzionali.

Ma intanto il docu­mento va segna­lato per­chè con­sente di spe­rare che sul ter­reno giu­di­zia­rio ci sia ancora uno spa­zio per l’affermazione della ragione.



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