Human Rights Watch: i coloni sfruttano i bambini palestinesi

Human Rights Watch: i coloni sfruttano i bambini palestinesi

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Uno degli aspetti meno dibat­tuti dell’occupazione israe­liana della Cisgior­da­nia è lo sfrut­ta­mento della mano­do­pera pale­sti­nese, soprat­tutto mino­rile. Un rap­porto inti­to­lato «Maturi per l’abuso: il lavoro mino­rile pale­sti­nese negli inse­dia­menti agri­coli israe­liani in Cisgior­da­nia», pub­bli­cato dalla ong Human Rights Watch (Hrw), rivela che le colo­nie, prin­ci­pal­mente quelle della Valle del Gior­dano, impie­gano bam­bini pale­sti­nesi anche di 11 anni (vio­lendo la legge inter­na­zio­nale che sta­bi­li­sce come età minima 15 anni) pagan­doli poco e in con­di­zioni di lavoro defi­nite «pericolose».

Negli inse­dia­menti israe­liani i bam­bini pale­sti­nesi lavo­re­reb­bero a tem­pe­ra­ture altis­sime tra­spor­tando cari­chi pesanti e sareb­bero espo­sti agli effetti dan­nosi dei pesti­cidi. Secondo il rap­porto, i bam­bini lasciano la scuola per rac­co­gliere, pulire e con­fe­zio­nare gli aspa­ragi, i pomo­dori, le melan­zane, i pepe­ron­cini dolci, le cipolle e i dat­teri. In alcuni casi, sono i bam­bini stessi a prov­ve­dere alle spese medi­che cau­sate dalle con­di­zioni di lavoro dure e peri­co­lose a cui sono sog­getti. L’area della Valle del Gior­dano è la zona in cui si tro­vano i mag­giori inse­dia­menti agri­coli israe­liani e cor­ri­sponde a circa il 30% della Cisgiordania.

I 38 bam­bini inter­vi­stati sosten­gono di per­ce­pire 10 she­kel all’ora (2.70 dol­lari) o 70 she­kel (19 dol­lari) al giorno. In Israele e nelle colo­nie la paga media nel 2012 (l’ultimo dato al momento dispo­ni­bile) era di 407 she­kel (110 dol­lari) al giorno. Usa parole dure Sarah Leah Whi­tson, diret­trice per il Medio Oriente e il Nord Africa di Hrw. «Le colo­nie israe­liane fanno pro­fitto abu­sando dei diritti dei bam­bini pale­sti­nesi i quali, pro­ve­nendo da comu­nità impo­ve­rite dalla discri­mi­na­zione di Israele e dalle poli­ti­che in vigore nelle colo­nie, abban­do­nano la scuola e ini­ziano lavori peri­co­losi per­ché pen­sano di non avere alter­na­tive. Di fronte a tutto que­sto, Israele chiude gli occhi».

Ad essere col­pe­voli dello sfrut­ta­mento dei gio­va­nis­simi, sot­to­li­nea l’ong, sono però anche gli inter­me­diari pale­sti­nesi (wasiit in arabo) il cui com­pito è quello di tro­vare mano­do­pera a basso prezzo per i padroni israe­liani. David Elha­yani, a capo del Con­si­glio regio­nale della Valle del Gior­dano, ha defi­nito «diso­ne­sti» i dati for­niti da Hrw. Secondo Elha­yani, il Con­si­glio impiega 6.000 pale­sti­nesi ogni giorno, ma non minori.

«È una bugia orri­bile – ha dichia­rato –non c’è alcuna giu­sti­fi­ca­zione né morale, né legale e né finan­zia­ria per impie­gare dei bam­bini». Ma se sono dif­fi­cili le con­di­zioni di vita in Cisgior­da­nia, restano dram­ma­ti­che quelle nella Stri­scia di Gaza. Sei mesi dopo che i paesi dona­tori ave­vano pro­messo di desti­nare 5,4 miliardi di dol­lari per il pic­colo lembo di terra pale­sti­nese deva­stato la scorsa estate dai 50 giorni dell’ ope­ra­zione mili­tare israe­liana «Mar­gine pro­tet­tivo», la rico­stru­zione con­ti­nua a pro­ce­dere molto len­ta­mente e il denaro resta bloc­cato. Lo hanno denun­ciato ieri 45 asso­cia­zioni e ong dell’Aida (Asso­cia­tion of Inter­na­tio­nal Deve­lo­p­ment Agencies).

«Se non cam­biamo corso ora e affron­tiamo le que­stioni chiave, la situa­zione a Gaza con­ti­nuerà a peg­gio­rare. Senza una sta­bi­lità eco­no­mica, sociale e poli­tica, un ritorno ad un con­flitto sarà ine­vi­ta­bile» ha detto la coa­li­zione tra cui spic­cano i nomi di Care Inter­na­tio­nal, Oxfam, Save the Chil­dren. «Solo il 26,8% del denaro è stato rila­sciato, la rico­stru­zione è a mala pena comin­ciata e le per­sone a Gaza con­ti­nuano a vivere in pes­sime con­di­zioni» ha aggiunto Aida.

Secondo il suo rap­porto, la guerra ha distrutto 12.400 case e ne ha dan­neg­giato 160.000 lasciando senza un tetto 100.000 pale­sti­nesi. Il docu­mento cri­tica entrambe le parti del con­flitto rite­nen­dole legal­mente respon­sa­bili per la situa­zione che si è venuta a creare. «La comu­nità inter­na­zio­nale — si legge nel testo — deve chie­dere una fine delle vio­la­zioni della legge inter­na­zio­nale e con­si­de­rare respon­sa­bili tutte le parti. Deve, inol­tre, fare in modo che ciò non si ripeta più».



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