Una cosa è chiara a tutti: le divisioni di Syriza sono (salvo miracoli) irreversibili. L’ala radicale della Piattaforma di sinistra ha formalizzato la costituzione di un nuovo soggetto anti- memorandum. E il governo tenuto in piedi dall’opposizione nelle ultime votazioni – non ha i numeri per andare avanti da solo. La sua maggioranza teorica è di 162 seggi su 300 ma all’ultima votazione dalle fila dell’esecutivo ne sono arrivati solo 118. La strada maestra, in teoria, è chiara: Tsipras dovrebbe chiedere la fiducia in Parlamento subito dopo il compromesso con la Troika, iniziando il dibattito in aula, con ogni probabilità, domenica prossima. Le alchimie parlamentari gli lascerebbero qualche via d’uscita: per tirare a campare qualche mese con un esecutivo di minoranza gli basterebbe ottenere 120 “sì”. Obiettivo realizzabile visto che diversi ribelli sono pronti in quel caso ad appoggiarlo. Di più: Pasok, Nea Demokratia e To Potami non sono disposte a dirgli “sì” ma potrebbero uscire dall’aula garantendogli un quorum più basso. Non è detto però che il primo ministro sia disposto a tracheggiare grazie a questi sotterfugi. Anzi, alcuni dei suoi fedelissimi lo stanno incitando in queste ore a fissare a quota 151 – la maggioranza assoluta, impossibile da raggiungere senza i voti dei dissidenti di Syriza – l’asticella sotto la quale sarà necessario ad andare a elezioni anticipate, probabilmente il 20 o il 27 settembre. I fautori di questa soluzione hanno idee chiare: andare subito alle urne significa capitalizzare sulla (presunta) popolarità di Tsipras, dare poco tempo ai dissidenti di sinistra per organizzarsi e chiedere il consenso agli elettori prima che sentano sulla loro pelle – ad esempio alle scadenze fiscali d’autunno – gli effetti della nuova austerity targata Syriza. La Grecia affronterebbe così qualche settimana d’incertezza, ammettono tutti, ma alla fine che vinca il premier o il centrodestra di Nea Demokratia – nascerebbe un esecutivo più coeso in grado di gestire senza patemi il piano di salvataggio.
Non è detto però che finisca così. Bruxelles avrebbe iniziato nelle ultime ore un pressing insistente su Tsipras. Obiettivo: obbligarlo a rimandare almeno di qualche settimana, possibilmente fino a fine ottobre, le elezioni anticipate per dare tempo al governo nell’assetto attuale (e con la stampella dell’opposizione europeista) di approvare i primi pacchetti di riforme previsti dal compromesso con la Troika, stabilizzando i conti dello stato nel breve termine. In cambio i creditori potrebbero offrire a quel punto al premier un impegno più preciso sul taglio al debito con cui presentarsi alle urne e chiedere il consenso al paese.
Il leader di Syriza, dicono i suoi fedelissimi, sarebbe tentato di seguire questa strada. E negli ultimi giorni avrebbe esaminato l’ipotesi di convocare per qualche settimana il Parlamento in sessione estiva (con 100 deputati invece di 300, dove avrebbe molto più facilmente la maggioranza) per dare il via libera alla riforma delle pensioni, mettere a punto i dettagli del fondo per le privatizzazioni e approvare misure di risparmio pari al 4% del Pil entro il 2018.
Certo, in questo modo darebbe pi• tempo allÕopposizione del suo partito di organizzarsi. Macos“ avrebbegiˆ tutto il lavoro sporco alle spalle. E potrebbe mettere a punto in vista delle urne un programma di riforme Òdi sinistraÓ come lÕattacco agli evasori fiscali e contro lo strapotere di armatori e oligarchi. Guadagnando spazio finanziario, grazie al taglio del debito, per approvare a quel punto misure sul welfare in grado di alleviare, almeno in parte, le ferite dellÕausteritˆ.