Bello e invincibile Il sexy premier che vuole riaprire le porte del Canada

Bello e invincibile Il sexy premier che vuole riaprire le porte del Canada

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Con il tatuaggio di un’aquila sul bicipite sinistro da pugile dilettante e sul capo l’aureola di un nome di famiglia che ha fatto la storia del suo Paese, Justin Trudeau ha ereditato a nome del centrosinistra canadese l’immensa nazione americana che il padre governò per sedici anni, strappandola alla destra e rovesciando i dogmi dell’Austerity.
Sembra il momento delle dinastie nella politica del continente nordamericano, tra i Clinton e i Bush in lotta per la Casa Bianca negli Stati Uniti e ora questo 43enne giovanotto canadese che dimostra dieci anni di meno e ha demolito la destra al governo dal 2006, ma nella sua vittoria, considerata impensabile appena tre mesi fa, non c’è nessuna investitura familiare. Justin è un non politico di professione, ma non un antipolitico, un ragazzo che le aveva provate tutte nella vita, dalla laurea in ingegneria al teatro, dalla boxe dilettantistica alla pericolosa passione per il bungee-jumping dai ponti prima di arrendersi a quella che lui stesso, pronunciando l’orazione funebre sulla bara del padre nel 2000 chiamò «il peso di un nome che non ho scelto ». Justin è più di un bell’uomo dalla bella capigliatura scura, segno della sua eredità francese mescolata con cromosomi scozzesi e inglesi, già investito dal titolo di primo ministro più sexy nei futuri vertici dei G8, impresa non improba visti la modesta concorrenza. È più di un perfetto padre di famiglia, con la moglie francocanadese Sophie Grégoire e tre perfetti bambini biondi, e anche più di un abile conduttore di campagna elettorale che ha saputo approfittare della crisi economica aperta dal crollo del prezzo del petrolio nell’economia canadese, che tanto da esso dipende. Trudeau il Giovane sembra The Man of Destiny , l’uomo che dalla nascita, avvenuta nel giorno di Natale del 1971, e dalla profezie fatte sulla culla era destinato a quell’incarico. Fu infatti l’astuto e cinico Richard Nixon, presidente americano, a chinarsi su di lui come le fate – o le streghe – di antiche favole durante una visita di Stato a Ottawa, la capitale del Canada, e a dire al padre: «Un giorno questo bambino prenderà il tuo posto».
Ma profezie e presagi non si sarebbero realizzati se Justin, sorprendentemente eletto alla guida di un partito Liberal, che sarebbe il Partito Democratico in Canada, distrutto dai Conservatori e ridotto al minimo della sua presenza parlamentare alle ultime elezioni, non avesse saputo rovesciare i dogmi ideologici del governo in carica, con il premier Harper, e proporre il cambiamento che era lo slogan della sua campagna. Come in pratica tutte le nazioni dell’Occidente democratico, anche questo gigante geografico da dieci milioni di chilometro quadrati per appena 35 milioni di abitanti, anche il Canada è in bilico fra l’eredità di uno Stato Sociale all’europea, robusto, ma minato dal debito pubblico e dall’invecchiamento della popolazione, e le tentazioni di austerità e di tagli dei Conservatori. Sulla marea di petrolio e di gas, che dal suo sottosuolo sgorga soprattutto verso il vicino del Sud, gli Usa, e ne fa il quinto esportatore al mondo, e sull’infinito granaio della propria Prateria, il Canada galleggia o boccheggia secondo l’andamento dei prezzi delle materie prime. Ma sempre forte di un reddito medio pro capite di quasi 45 mila dollari, ben più alto dei 35 mila italiani.
Justin The Sexy One respinge il mantra dell’austerità e degli impossibili pareggi di bilancio. Abbraccia il keynesismo rivisitato, con progetti di “deficit spending ” che sono l’anatema dei Conservatori, ma strizza l’occhio alla formidabile industria del petrolio restando molto vago sulla questione del clima e dei combustibili fossili, accetta la costruzione di quell’oleodotto che dovrebbe portare greggio negli USA e che gli ecologisti odiano e si schiera dalla parte di coloro che guardano con angoscia al vero deficit che sta soffocando la nazione: la mancanza di giovani.
Il Canada ha bisogno di immigrati. Nazione di molte nazioni, dove trentatrè gruppi di almeno centomila residenti ciascuno formano un mosaico multietnico sovrapposto ai nativi indiani che sono ancora l’1,4 della popolazione, ha un tasso di natalità fra i più bassi del mondo e la politica di chiusura all’immigrazione, voluta dalla Destra sconfitta, è apparsa alla maggioranza come egoisticamente suicida. Soprattutto nelle città più evolute e belle, come la splendida Vancouver sul Pacifico e la civilissima Toronto con i suoi 600 mila residenti di origine italiana (una delle più grandi città italiane) l’afflusso alle urne è cresciuto dal 62 per cento al quasi 70 per cento di domenica. È stata la più alta partecipazione dal 1993, rovesciando il trend della disaffezione comune alle democrazie occidentali.
Il bel Justin ora dovrà mantenere promesse difficili, riaprire le porte all’Est, anche a quei siriani che la Destra voleva respingere, come all’Ovest, agli immigrati dall’Asia. Indebitarsi ma senza devastare il bilancio come il padre aveva fatto negli anni ‘70. Decidere se allentare ancora di più il legame formale con la corona britannica, che mantiene un “viceré” senza alcun potere sul territorio, alla quale personalmente è affezionato come dimostrò un messaggio di congratulazione alla nascita del primo figlio del principe William. Riuscire in quella quadratura del cerchio che le promesse della Sinistra impongono sempre a chi riceve, come lui ha avuto, 184 seggi su 338 e dunque la maggioranza assoluta nel parlamento federale. «Tutto quello che ho imparato nella vita, l’ho imparato da mio padre, quando noi due soli ci inoltravamo e ci divertivamo a perderci nei boschi», disse al funerale. In quel bosco chiamato potere politico, oggi “The Sexy Canadian” è solo.


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