Giulio nel mirino del Cairo dal suo arrivo
Giulio era seguito da tempo, su di lui gli occhi vigili e onnipresenti dei servizi segreti egiziani. A rivelarlo è il quotidiano egiziano Al-Akhbar che riporta un’anteprima del dossier che il 5 aprile Il Cairo ha promesso di condividere con il team investigativo italiano.
Secondo fonti anonime della sicurezza, il dossier contiene «documenti e informazioni importanti, foto e indagini su Regeni dall’arrivo al Cairo fino alla scomparsa, gli innumerevoli rapporti, i segreti dei suoi incontri con i lavoratori e i responsabili dei sindacati su cui conduceva ricerche e studi».
Per la prima volta, dunque, l’Egitto ammetterebbe quanto immaginato da tempo dalle opinioni pubbliche italiana e egiziana: il giovane ricercatore era nel mirino della pervasiva intelligence interna egiziana da tempo. Prove di tale interesse erano già emerse dalle testimonianze di amici di Giulio che, dopo il ritrovamento del suo corpo martoriato dalle torture, avevano riportato delle visite di poliziotti nel suo appartamento nel quartiere di Dokki. Lo stesso Giulio, prima della sua scomparsa, aveva confidato di avere paura dopo aver notato di essere stato fotografato ad una riunione dei sindacati a dicembre.
Il famoso dossier conterrebbe, quindi, anche i risultati delle indagini compiute dai servizi sugli incontri di Giulio con sindacalisti e attivisti egiziani e le deposizioni degli amici e dei vicini di casa. Il 5 aprile, aggiunge il quotidiano, saranno consegnati anche i suoi effetti personali, ritrovati – a quanto dice la polizia – nella casa di Tareq Abdel Fattah, il criminale accusato della sua morte. Non si sa invece se sarà presentato il traffico telefonico registrato nelle ore e nella zona della sua sparizione, più volte chiesto dagli inquirenti italiani.
I pezzi del puzzle potrebbero così, almeno in parte, ricomporsi. Gli ultimi giorni sono stati caratterizzati da una serie di rivelazioni che dimostrano il coinvolgimento degli apparati statali. Prima le fonti citate da Cairo Portal, che parlano di una spaccatura all’interno del governo tra Ministero degli Esteri (propenso ad ammettere parzialmente la responsabilità governativa) e quello degli Interni (intenzionato a proseguire sulla via della negazione), poi l’intervista allo zio di uno dei membri della banda criminale al programma tvDream: il nipote, ha detto l’uomo, è stato prelevato dalla sua casa prima di essere ritrovato crivellato di colpi in un minibus.
E ora le rivelazioni di al-Akhbar. Difficile prevedere un’ammissione di colpa da parte dei vertici statali egiziani, che con maggiore probabilità potrebbero puntare a qualche pesce piccolo per soddisfare il governo alleato di Roma. Eppure, con i riflettori finalmente accesi sulle politiche repressive di un regime che da quasi tre anni stringe la morsa sull’Egitto post-rivoluzione, questo dovrebbe essere il momento per i governi europei e la stampa mainstream di denunciare le pratiche del generale golpista al-Sisi.
Ma è improbabile che l’alleato di ferro venga messo in imbarazzo, visto il ruolo che si è ritagliato nel prossimo intervento militare occidentale in Libia, nella pantomima della guerra all’Isis e nel mercato sempre fruttuoso delle risorse energetiche. A tutelare Il Cairo pensa anche un altro Stato-canaglia, l’Arabia Saudita, che con il denaro tiene a galla la traballante economia interna: la prossima settimana re Salman volerà in Egitto per firmare l’accordo da 1,5 miliardi di dollari a favore di progetti di investimento nella Penisola del Sinai.
A pagare il prezzo dell’impunità del Cairo è il popolo egiziano (e la Fratellanza Musulmana, acerrima nemica di Riyadh), che subisce una repressione senza precedenti anche per la dittatura trentennale di Hosni Mubarak. Ieri l’ennesimo caso: 96 attivisti sono stati condannati a 3 anni di prigione, in carceri di massima sicurezza, dalla corte penale di Zagazig. 72 sono accusati di «violenze e manifestazioni illegali» (dal novembre 2013 è vietato organizzare proteste senza previa autorizzazione governativa); 5 di aver dato alle fiamme la stazione di polizia di al-Qareen; 19 di possesso di volantini dei Fratelli Musulmani.
Alla repressione nelle strade si aggiunge quella online: fonti anonime hanno rivelato che alla fine di dicembre l’Egitto ha bloccato il servizio gratuito di Facebook, Free Basics, dopo che la compagnia si era rifiutata di fornire le chiavi di accesso per spiare gli utenti. Dopo il lancio, ad ottobre, Free Basics aveva subito ottenuto un discreto successo (tre milioni di utenti nel paese) perché permetteva di usare l’account Facebook per accedere senza pagare a molti siti internet. Per i servizi segreti una ghiotta occasione di controllare i giovani egiziani, soprattutto delle classi più povere, che vedevano in Free Basics il modo di utilizzare la rete a costo zero.
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