Deutsche Bank, il colosso traballa

Deutsche Bank, il colosso traballa

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Se non fossimo di fronte al rischio di un crack dalle conseguenze imprevedibili per l’effetto domino che potrebbe scatenare in Europa, potremmo sorridere amaro.

Sarà la Germania a far saltare la clausola di «non salvataggio» pubblico di una banca, dopo averla imposta nell’Unione bancaria europea per assicurasi che le crisi degli istituti di credito non si trasformino in crisi del debito sovrano degli stati?

La Deutsche Bank (DB) traballa, i topi degli hedge fund stanno abbandonando la barca e il colosso tedesco dall’inizio dell’anno ha perso il 50% del valore (16 miliardi) e ne vale ormai solo 14. Ma Deutsche Bank è «too big to fail»: è la prima banca privata tedesca, con un bilancio non lontano dal Pil dell’Italia, pari al 10% di quello della zona euro, ha 100mila dipendenti.

I numeri di Lehman Brothers sono polverizzati.

Su DB, già in piena ristrutturazione, travolta dai dubbi sulla sua stabilità, si è abbattuto qualche giorno fa il colpo di grazia della minaccia di una mega-multa negli Usa per l’attività speculativa sui subprime, i mutui spazzatura all’origine della crisi del 2008.

Gli Usa vogliono multare DB di 14 miliardi di dollari, l’equivalente di 12,5 miliardi di euro (anche se ieri sera è corsa voce che la multa sarebbe stata abbassata a poco più di 5,4 miliardi). Ma non basta: le speculazioni azzardate della banca tedesca hanno aperto in tutto il mondo circa 8mila litigi giudiziari, alcuni molto pesanti, tra cui uno in Russia, con l’accusa di riciclaggio.

L’Fmi aveva già messo in guardia e giudicato la DB come il principale fattore a rischio, per il contagio che può creare in Germania e in Francia ma soprattutto in Italia e Portogallo, due paesi dove il sistema bancario è estremamente fragile. Le banche europee piangono, criticano la Bce che ha scelto la politica dei tassi bassi che non le fa guadagnare. Ma tutte, DB in testa, si sono buttate sulla speculazione folle dei derivati.

Fa sorridere oggi che nel 2011 il magazine Euromoney, pubblicazione quotata negli ambienti finanziari, abbia considerato DB come la «migliore banca mondiale».

Nei cassetti della Ue giace abbandonata una proposta dell’ex commissario Michel Barnier (oggi l’uomo che deve negoziare il Brexit) e che dopo la crisi del 2008 prevedeva il ritorno alla separazione tra banche di deposito e banche di investimento, una riedizione del Glass-Steagall Act del 1933 negli Usa.

La lobby finanziaria della City e non solo ha affossato il piano Barnier.

Oggi i nodi vengono al pettine e il ritorno del piano Barnier sarebbe un’uscita verso l’alto da una crisi che rischia di travolgere invece tutta l’Unione bancaria (da alcuni vista come un passo verso il federalismo, anche se manca ancora il terzo pilastro, cioè la garanzia dei depositi fino a 100mila euro, mentre è in vigore la supervisione da parte della Bce delle 129 principali banche europee e quello di Risoluzione unica, entrato in vigore a gennaio, che prevede il bail-in, cioè che a pagare in caso di crisi siano prima gli azionisti e poi i correntisti, ma non i contribuenti con un intervento pubblico).

Lo stato tedesco potrebbe intervenire per salvare DB. Lo scrive Die Zeit, ma il governo smentisce e il presidente della DB, John Cryan, assicura: «Non ho mai chiesto aiuto alla cancelliera».

Cryan insiste sul fatto che DB ha liquidità più che sufficiente per far fronte a tutto (230 miliardi).

Ma in realtà ci sarebbe un piano che prevede la cessione di parte degli attivi di DB ad altre banche e, se questo non fosse sufficiente, l’entrata dello stato tedesco al 25%, per evitare il panico che potrebbe scatenare l’applicazione del meccanismo di risoluzione, il bail-in (la storia ha il suo peso: il 19 giugno del 1931 a Berlino scoppiò il panico finanziario e il 15 luglio tutte le banche chiusero gli sportelli).

Del resto, Royal Bank of Scotland, nazionalizzata con la crisi del 2008, è ancora oggi sotto controllo dello stato.

Il margine di manovra del governo tedesco però è limitato.

Anche perché dietro la crisi di DB emerge quella della seconda banca, Commerzbank, che giovedì ha annunciato un taglio del 20% dei dipendenti: 9.600 posti di lavoro persi.

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