Rignano Garganico. Fuori dal Ghetto, senza un’alternativa

Rignano Garganico. Fuori dal Ghetto, senza un’alternativa

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Il Gran Ghetto di Rignano Garganico non c’è più. Le tre ruspe della polizia ambientale della Regione Puglia hanno lavorato ininterrottamente per tutta la giornata di ieri, per eseguire il decreto di revoca della facoltà d’uso emanato dalla Direzione distrettuale antimafia presso il Tribunale di Bari, abbattendo ciò che restava delle oltre 700 baracche di lamiere e cartone, nelle quali nella notte di venerdì hanno perso la vita due giovani maliani. A presidiare il ghetto polizia, carabinieri e vigili del fuoco che hanno messo in sicurezza l’area, vista anche la presenza di numerose bombole di gas.

Nei prossimi giorni partirà la bonifica ambientale, da parte dell’Arpa Puglia, del terreno che negli ultimi 20 anni ha ospitato migliaia di braccianti agricoli, in una delle più grande baraccopoli del sud Italia.

Sulla morte di Mamadou Konate e Nouhou Doumbia, di 33 e 36 anni, la Procura di Foggia indaga per omicidio e incendio colposo al momento a carico di ignoti. L’ipotesi al vaglio del procuratore Leone de Castris e della pm Alessandra Fini, titolari dell’inchiesta, è che le fiamme possano essere divampate da una stufa o da uno dei fornelli che i migranti lasciano solitamente accesi durante la notte per riscaldarsi.

Saranno però soltanto le autopsie e gli altri accertamenti ancora in corso da parte delle forze dell’ordine, a fornire ulteriori elementi d’indagine e a chiarire l’esatta origine e dinamica di quanto accaduto nella notte tra il 2 e il 3 marzo: molti abitanti del ghetto sostengono che l’incendio sarebbe stato appiccato apposta per favorire il loro sgombero più velocemente. Del resto, non sarebbe la prima volta che accade: spesso in passato è successo che in vista di un intervento annunciato nei vari ghetti si verificassero incendi di natura dolosa.

Il clima intorno al ghetto e tra i braccianti resta quindi molto teso. Oltre un centinaio di loro si sono rifiutati di abbandonare quel luogo che per loro significa soltanto una cosa: lavoro. E quindi l’unico modo per sopravvivere. Seppur in schiavitù. Hanno preferito dormire all’addiaccio sotto i grandi ulivi presenti all’entrata del ghetto, dopo aver portato con se quei pochi oggetti sopravvissuti all’incendio.

La maggior parte dei lavoratori stagionali, sfruttati da un sistema malato gestito dai caporali per conto di produttori che forniscono il prodotto ai grandi gruppi commerciali, sono stati trasferiti provvisoriamente nelle due strutture allestite dalla Regione Puglia presso il comune di San Severo, dove però non c’è posto per tutti, visto che possono contenere al massimo 320 persone.

Le associazioni del luogo così come i comitati di lotta e la Flai Cgil Puglia infatti, nelle ultime ore hanno smorzato i toni di entusiasmo mostrati dal governatore pugliese Michele Emiliano e dal Movimento 5 Stelle per l’avvenuto sgombero. «Quante morti dovranno ancora avvenire per convincerci che predisporre un’accoglienza ed integrazione dignitosa è l’unica via percorribile contro la vergogna dei ghetti?» si chiedono alla Flai Cgil. «Non è accettabile che i migranti siano utilizzati come bestie da soma, sfruttate all’inverosimile nei campi, quindi funzionali a un certo tipo di economia produttiva contro la quale combattiamo da sempre, senza uno straccio di inclusione decorosa» ricorda il sindacato. «Ci chiediamo quanto ancora dovremo aspettare per quel Piano di accoglienza dei lavoratori stagionali che la Legge 199/2016 prevedeva di adottare entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore! Sgomberare i ghetti senza alternative per chi ci vive è miope. I due lavoratori maliani morti chiedono a chi ha la responsabilità di agire subito e seriamente».

Secondo il sindacato pugliese della Cgil, nelle ultime settimane nel ghetto erano presenti 500 lavoratori stagionali impiegati nella raccolta della verdura: ma lo scorso 1 marzo, nel corso del censimento effettuato dai tecnici della Regione che ha preceduto lo sgombero, furono registrate appena 95 persone. Emiliano ha però promesso che in breve tempo saranno predisposte le modalità per cui ogni lavoratore che dovesse venire in Puglia «troverà un alloggio civile, con l’aiuto di tutte le organizzazioni, delle imprese agricole e dello Stato, per far sì che il collocamento in agricoltura non sia nelle mani dei capi neri che controllavano mafiosamente quel campo». I ghetti, soltanto in Puglia, sono oltre una trentina. C’è ancora tanto da fare.

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