METZ. Nonostante i ratti che sciamano indisturbati tra le tende, un’epidemia di scabbia che colpisce famiglie di migranti e bande di giovani albanesi che la notte organizzano ronde punitive contro i pochi nigeriani presenti, Blida è una bidonville “istituzionale”. Ad aprirla lo scorso aprile è stata la prefettura di Metz, per poi lavarsene le mani fino al prossimo autunno quando sarà ufficialmente chiusa. Al suo ingresso, a darti il benvenuto è una decina di ragazzini che gioca tra gli scoli e i fetori dei soli tre bagni che conta questo campo allestito in un ex deposito di autobus per i suoi 700 ospiti. Siamo a un paio di chilometri dalla maestosa cattedrale gotica della città, e per chi volesse vederci una qualsivoglia simbologia, davanti a un impianto per il trattamento dei rifiuti. «Senza i volontari che qui forniscono le tende e il cibo questi disgraziati non riuscirebbero a sopravvivere», spiega Chantal Muszynski del “Collectif mosellan de lutte contre la misère”, un’associazione che assiste legalmente i rifugiati nel tentativo di dar loro un po’ di dignità. «Poiché non è una bidonville illegale, lo Stato non dovrebbe tollerare tali condizioni d’insalubrità».
Il collettivo si batte per trovare un tetto a chi ne ha più bisogno, approfittando del fatto che grazie alle tante caserme in disuso, a Metz, ex città militare, ci sono migliaia di alloggi sfitti. «Siamo dovuti salire in piedi sui banchi del municipio per far accogliere le donne incinte che qui dormivano a terra, i malati o i bambini disabili che vivevano stretti in una tenda lacerata», dice Musynski. Salvo una piccola minoranza di africani, i migranti di Blida provengono quasi tutti dai Balcani: dalla Bosnia, la Macedonia e soprattutto l’Albania. Quasi tutti appartengono a quella categoria che Emanuel Macron non vuole accogliere, i cosiddetti migranti “economici”.
A differenza di Calais, dove oggi arrivano per lo più uomini soli e dove secondo una denuncia dell’attendibile Human Rights Watch c’è la polizia che li accoglie con i gas urticanti, a Blida approdano piuttosto intere famiglie, perciò nella bidonville abitano circa 150 bambini. Quanto a Calais, il Consiglio di stato francese ha respinto il ricorso del nuovo ministro dell’Interno Gérard Collomb e del Comune del porto sulla Manica contro la decisione del tribunale che aveva ordinato l’accesso all’acqua per i migranti. Il 26 giugno, il Tribunale amministrativo di Lille aveva infatti ordinato al prefetto e al Comune di «creare diversi dispositivi di accesso all’acqua che consentano ai migranti di bere», di lavare i loro vestiti, così come l’installazione di docce e bagni: una decisione ritenuta corretta dal Consiglio di Stato, per il quale le autorità di Calais espongono le persone a trattamenti inumani o degradanti.
A Blida le docce ci sono, ma soltanto una ogni quaranta persone, molto al di sotto da quanto prescritto dall’Alto commissariato dei rifugiati. «Nessuno le pulisce mai, s’è dunque accumulata una tale sporcizia che preferisco lavare mia figlia davanti alla nostra tenda», dice Sema Coka, 28 anni, in fuga dall’Albania dove suo marito è stato minacciato di morte. «Quanto alla distribuzione di cibo e vestiti sono sempre i più violenti quelli che arraffano tutto». Si lamenta anche Julian Gjata, 23 anni, che ha lasciato il suo Paese con la speranza di costruirsi una vita migliore in Francia. «Sono qui da due mesi, e siccome non ho famiglia non mi versano neanche quei quattro euro al giorno che spettano a ogni migrante registrato. Come se non avessi anch’io uno stomaco». Sia Sema sia Julian sono consapevoli di avere poche possibilità di ottenere il diritto di asilo, perché qui l’Albania è considerato un Paese sicuro.
Il 28 luglio a Orléans, davanti a un gruppo di rifugiati appena naturalizzati francesi, il presidente Macron ha dichiarato di non voler vedere più entro la fine dell’anno persone in strada: «Voglio per tutti alloggi di emergenza ». Pochi giorni prima, però, il primo ministro Edouard Philippe aveva confessato di non avere soluzioni per quei migranti che vagabondano a Calais, alle porte di Parigi o intorno a Nizza. A Orléans, Macron ha anche chiesto di accelerare le pratiche per stabilire se il migrante può restare in Francia o se dev’essere espulso. Ma questa seconda soluzione, che ha chiamato «la vera politica dell’accompagno alle frontiere», s’è già rivelata difficilmente praticabile per i suoi predecessori, a cominciare da Nicolas Sarkozy che pure l’aveva adottata con convinzione. «La verità è che i migranti sono tollerati più o meno bene un po’ ovunque. Da noi, però, i primi a rifiutarli sono proprio le istituzioni », aggiunge Chantal Muszynski.
Un’ora di colloquio privato con Bergoglio, che «mi è stato vicino nei momenti difficili». Ma dopo l’euforia della scarcerazione, in Brasile l’ex presidente non fa la differenza. E Bolsonaro torna a volare nei sondaggi