Guerra per banche, Renzi insiste Gentiloni in difficoltà

Guerra per banche, Renzi insiste Gentiloni in difficoltà

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L’imboscata. Il ruolo della sottosegretaria nel giallo della mozione tenuta coperta quasi fino alla fine. Palazzo Chigi sempre più in imbarazzo

Altro che raffreddare i toni. Renzi rincara e se fino a ieri si accontentava di apparire come nemico di un governatore di Bankitalia difeso da palazzo Chigi, dal Colle e dall’Europa ma non dal Pd, ora sembra che punti davvero alla testa di Ignazio Visco – trofeo da sventolare in campagna elettorale – magari costringendolo a fare da solo un passo indietro. Ospite di Lilli Gruber va giù come un caterpillar: «Se il governo vuole cambiare il governatore lo farà. Ma si può dire che il funzionamento della Banca non è stato un granché». Poi la mazzata: «Mi sono chiesto il perché di questa levata di scudi a favore di Visco. Cosa ho toccato? Non so se sono poteri forti, ma tra stare con i cittadini o con i banchieri non ho dubbi».

IL NUOVO AFFONDO pone ancora di più Paolo Gentiloni tra l’incudine e il martello. Da una parte c’è il Quirinale che ufficialmente sta «a guardare» ma in realtà si è speso più e più apertamene di quanto Mattarella abbia mai fatto. Dalla stessa parte c’è anche l’Europa, anzi Mario Draghi in persona: da quelle parti la sola idea che un governatore della Banca centrale possa essere sfiduciato dal parlamento fa venire i brividi. Ma dall’altra parte non c’è solo il principale partito che sostiene il governo, e già sarebbe un bel guaio: c’è la grande maggioranza del parlamento. Ieri anche Berlusconi ha tolto la relativa copertura che nei primi giorni della crisi aveva offerto a Visco su spinta di Gianni Letta, che nel partito azzurro è la voce dell’Europa. «Certamente la Banca non ha svolto il controllo che ci si attendeva. Non sono del tutto senza senso le volontà di un controllo», dichiara. Evidentemente il leader azzurro si è reso conto di non poter passare per il difensore delle banche mentre Renzi, Grillo e soprattutto l’alleato/competitor Salvini si spartivano il ruolo di tutori dei risparmiatori contro gli interessi bancari. Dunque ha mollato anche lui Visco, stando attento a non fare il gioco di Renzi:«E’ la solita voglia della sinistra di occupare tutte le posizioni di potere, stavolta prima e non dopo le elezioni».

COME TIRARSI FUORI dal guaio Paolo Gentiloni non lo ha ancora deciso. Ipotizza la nomina di un membro del Direttorio, come segno di fiducia nella banca se non nel suo governatore. Fa assicurare informalmente che il governo si muoverà secondo le «prerogative attribuitegli dalla legge». Ma lui per primo sa che quelle parole saranno credibili solo se confermerà Visco, mettendosi contro il parlamento e soprattutto passando lui per difensore a ogni costo di Bankitalia. Del resto è probabile che tra gli obiettivi di Renzi ci fosse proprio quello di indebolire le posizioni dell’amico che, dopo le elezioni, potrebbe rivelarsi un rivale sulla strada di palazzo Chigi.

COME SE NON FOSSE già abbastanza, Gentiloni deve anche far buon viso a pessimo gioco e fingere che nel suo governo vada tutto bene, glissando sull’imboscata tesagli da Renzi e da Maria Elena Boschi. Ieri le classiche “fonti” di palazzo Chigi hanno fatto sapere che il premier nutre «piena fiducia» nella sua sottosegretaria. Sia pure in modo goffo, il premier cerca così di negare l’evidenza, e cioè di essersi trovato di fronte a un fatto compiuto con una mozione notificatagli all’ultimo momento e senza che neppure la ministra dei rapporti con il parlamento Anna Finocchiaro fosse al corrente di quanto stava per avvenire: un agguato.

Ma le voci che arrivano dal nuovo palazzo dei veleni parlano invece di una tensione da tagliarsi col coltello e il pranzo di mercoledì scorso, con la sottosegretaria autrice del blitz su Bankitalia e il ministro dell’Economia Padoan è stato tra i più imbarazzanti nella storia della politica italiana.

MA, APPUNTO, GENTILONI non può far altro che fingere di non aver notato lo sgambetto della sottosegretaria e di non essersi accorto della ginocchiata vibrata ieri da Renzi in persona: «Il governo non era semplicemente informato della mozione. Doveva anche dare un parere che è stato positivo. Dunque era d’accordo». Il parere positivo era stato dato nella frenesia del momento, quando lo stesso governo ha capito di essere esposto non al rischio ma alla certezza di un voto che lo avrebbe visto battuto. Ma tant’è. Il premier non può smentire il segretario del primo partito di maggioranza senza provocare una deflagrazione e il parere positivo sulla mozione – una «mozione improvvida», la definisce Romano Prodi – resta agli atti. «Dal punto di vista formale non abbiamo intravisto una sfiducia», prova a sostenere il sottosegretario Baretta. Ma sono parole che stridono come sul vetro le unghie di chi prova ad arrampicarsi sugli specchi e l’incidente, invece di sgonfiarsi, diventa ogni giorno di più un vicolo cieco.

FONTE: Andrea Colombo, IL MANIFESTO



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