Avvocato scagionato dopo 10 anni. Ma non lo avvisano

Avvocato scagionato dopo 10 anni. Ma non lo avvisano

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Tra carcere e domiciliari, l’avvocato Giuseppe Melzi si è fatto quasi dieci mesi di custodia cautelare. Diventato famoso negli anni 70 quando assisteva i piccoli risparmiatori vittime del fallimento della Banca di Michele Sindona, è stato arrestato nel 2008. Dieci anni dopo sono cadute tutte le accuse contro di lui, ma non gli è mai stato comunicato. L’ha scoperto da solo, per caso.

D i tre agenti che lo vennero a prendere l’avvocato Giuseppe Melzi non dimentica i modi decisi con cui lo portarono a San Vittore. Avrebbe volentieri accettato che con la stessa risolutezza dieci anni dopo gli avessero comunicato che contro di lui erano cadute tutte le accuse. Invece l’ha scoperto da solo, per caso.

Tra carcere e domiciliari, l’avvocato si fece quasi dieci mesi di custodia cautelare ai quali vanno aggiunti anche tre anni e due mesi di sospensione dalla professione. Lo arrestarono con altre 8 persone il primo febbraio del 2008 a Milano accusandolo di aver riciclato e reimpiegato, attraverso un giro di società fittizie tra Svizzera, Spagna e Italia, almeno 80 milioni di euro che erano il frutto dei traffici illeciti della cosca della ‘ndrangheta Ferrazzo di Mesoraca (Crotone).

Il tutto, secondo l’accusa iniziale dell’allora pm della Dda milanese Mario Venditti (ora procuratore aggiunto a Pavia) con l’aggravante della finalità mafiosa. Era un’inchiesta imponente.

Diventato famoso negli anni 70 quando assisteva i piccoli risparmiatori vittime del fallimento della Banca privata italiana di Michele Sindona, interrogato dopo l’arresto, Melzi disse che non ne sapeva niente e se quella storia era vera allora voleva dire che lui era stato uno «strumento inconsapevole» in mano a un gruppo di criminali sconosciuti, tutti tranne uno che aveva visto poche volte.

Era l’inizio di un «calvario» al quale «sono sopravvissuto grazie alla mia coscienza pulita e integra e all’affetto incondizionato della mia famiglia, degli amici e delle persone da me assistite in oltre 45 anni», dopo che «la mia vita personale e la mia attività professione sono state esaminate senza alcun limite e rispetto», scrive in una lettera al Presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Remo Danovi, al quale chiede di «ristabilire pubblicamente» la sua «dignità professionale».

Un anno dopo la retata, la Procura chiese il rinvio a giudizio ma il gup Paolo Ielo, ora procuratore aggiunto a Roma, trasmise il procedimento a Cagliari per competenza territoriale (un imputato patteggiò, un altro scelse il rito abbreviato subendo un paio di anni di carcere ciascuno). Melzi dichiara che da allora non ha saputo più niente. «Per più di sette anni non sono stato mai convocato», protesta rivolgendosi a Danovi. Di sicuro, però, la Procura di Cagliari ha indagato sulla vicenda aprendo anche un nuovo fascicolo nel 2012, per il quale «è stata recentemente chiesta l’archiviazione». Come per tutto il resto.

Lo scrivono il procuratore capo di Cagliari, Gilberto Ganassi, e il sostituto Guido Piani chiedendo il 4 aprile 2016 al gip Mauro Grandesso Silvestri, appunto, l’archiviazione di tutti gli indagati, compreso Alfonso Zoccola che era stato definito il «responsabile finanziario» dei Ferrazzo. I pm parlano di «debolezza degli elementi indiziari» e dell’aggravate della «mafiosità», per la quale ci possono essere «elementi di forte sospetto», ma «non decisivi», visto che la stessa esistenza della cosca non pare essere provata.

Dalle indagini emerge una «vicenda di straordinaria complessità la cui ricostruzione, sia in fatto che in diritto, appare caratterizzata da numerose lacune ed incertezze» sul «merito dei fatti», sulla «loro configurazione giuridica», sul «ruolo dei singoli indagati e sull’elemento soggettivo», oltre ad esserci problemi di prescrizione e di competenza territoriale.

Il 5 maggio 2016 il gip archivia. Ci vorranno altri venti mesi prima che l’avvocato Melzi venga a sapere da un collega sardo, ma senza una notifica ufficiale, che tutto è finito dopo quella che lui definisce una «inutile persecuzione» basata su una «fake news» che è stata «finalmente smascherata dai giudici cagliaritani».

FONTE: Giuseppe Guastella,  CORRIERE DELLA SERA



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